A una ragazza 19enne in terapia intensiva, ma pienamente cosciente, medici inglesi vogliono togliere la vita perché non può migliorare. E il giudice sostiene che la sua volontà non vale.
“ST” è una giovane ragazza di 19 anni che da un anno è in cura nel reparto di terapia intensiva di un ospedale britannico. Vuole vivere ma i suoi medici hanno deciso che la sua malattia non offre prospettive di miglioramento e quindi deve morire immediatamente. A differenza dei casi già noti in cui il paziente è un neonato, un bambino o un adulto incosciente, presumibilmente in punto di morte, ST è una giovane adulta, completamente cosciente, capace di prendere decisioni, che ha espressamente dichiarato la sua volontà di vivere. Tuttavia, il tribunale le ha tolto il diritto di decidere della sua vita. Questo accade oggi nel Regno Unito, un caso che segna un ulteriore passo avanti nella barbarie diventata segno distintivo del Servizio Sanitario Nazionale britannico (NHS).
La storia di ST (è la sigla di riconoscimento decisa dal tribunale che ha imposto l’anonimato) è quella di una giovane donna che soffre di una rara forma di malattia mitocondriale (RRM2B). La condizione di ST provoca debolezza muscolare cronica, perdita dell’udito e danni ai reni, rendendola dipendente dalla dialisi e da altre terapie intensive, ma – cosa importante – non ha intaccato il funzionamento del suo cervello. In realtà, la malattia non le ha impedito di frequentare la scuola ordinaria o di ottenere buoni voti negli anni di scuola secondaria. Stava studiando per la maturità quando nell’agosto 2022 ha contratto il Covid, che le ha causato gravi difficoltà respiratorie. ST è stata ricoverata in ospedale in un’unità di terapia intensiva (ICU) dove è rimasta da allora (sempre le restrizioni poste dal giudice impediscono di rivelare il luogo).
Lo scorso febbraio, i medici hanno riferito che le sue condizioni erano peggiorate. Successivamente ha avuto due altre crisi che hanno richiesto cure mediche di emergenza a luglio. I medici che la curavano hanno così deciso che la condizione medica di ST stava progressivamente degenerando e l’hanno definita malata terminale (in inglese l’espressione usata suona più sinistra: “actively dying”). Le hanno così presentato un piano di cure palliative che avrebbe interrotto il suo trattamento di dialisi salvavita causandone la morte nel giro di pochi giorni per insufficienza renale. ST ha rifiutato.
I medici hanno quindi agito immediatamente consegnando la patata bollente ai tribunali. L’NHS Foundation Trust, responsabile dell’ospedale che ha in cura la ragazza, ha portato avanti il caso poiché ritiene che ST non abbia la capacità mentale di decidere il suo trattamento.
L’adolescente, descritta come «una combattente» da chi la conosce, vorrebbe addirittura partecipare agli studi clinici per una terapia a base di nucleosidi, in Canada o in uno dei due ospedali che la praticano in America. Crede che questa terapia offra un 50% di possibilità di miglioramento, anche se è ben consapevole che nel suo caso potrebbe non avere successo. Allo stesso tempo, ha detto di aver perso la fiducia nei suoi medici. In particolare, non crede che le rimangano «solo giorni o settimane» e che sia inutile tenerla in vita finché non si potranno prendere accordi per il suo trasferimento in uno degli ospedali all’estero disposti a curarla.
ST sostiene di avere già smentito le previsioni dei medici quando si è ripresa, nonostante le loro aspettative contrarie, dalle due recenti crisi potenzialmente letali. Incalzati in tribunale, i suoi medici hanno affermato che «la sua morte è necessariamente imminente», ma hanno ammesso che potrebbe avere «settimane o addirittura mesi di vita», sebbene «la prognosi esatta sia incerta».
Inoltre, due esperti psichiatri, denominati Dottor D e Dottor C, incaricati dall’ospedale di esaminare ST, hanno dichiarato alla Corte che lei non soffre di alcuna malattia mentale e ha la capacità mentale di prendere decisioni sul proprio benessere o assistenza sanitaria.
Gli psichiatri hanno testimoniato che «non ci sono prove che ST ora neghi il fatto che la sua condizione generale stia progressivamente degenerando». Sia il dottor D che suo fratello hanno affermato che lei è consapevole che «la sua condizione comporta la possibilità di morte». E il Dottor C ha riportato il desiderio espresso da ST di voler «morire cercando di vivere» e che nessuna opzione doveva essere lasciata inesplorata in tale impresa («Dobbiamo provare tutto»). Inspiegabilmente, il parere medico degli psichiatri è stato respinto dal tribunale.
Invece, i suoi medici, che non hanno esperienza nelle malattie mitocondriali, insistono che la sua ostinazione a continuare a lottare per vivere sia una «illusione» e indicano che non ha la capacità mentale di decidere il suo trattamento. Uno dei medici ha dichiarato in tribunale: «Mentre lei [ST] si aggrappa a questa speranza di migliorare le sue condizioni, inclusa la sopravvivenza, ha chiuso la sua mente all’alternativa di “maggiore conforto” o “trattamento meno invasivo o doloroso” che le cure palliative è probabile che forniscano».
La scorsa settimana, il 25 agosto, la giudice Roberts, presiedendo l’udienza, si è schierata dalla parte dell’ospedale e ha convenuto che ST non aveva la capacità mentale di prendere le proprie decisioni e quindi le sue cure di fine vita potevano essere determinate dalla Court of Protection (l’equivalente britannico del Giudice tutelare). Roberts ha scritto nella sentenza: «La totale incapacità di ST di accettare la sua realtà medica, o di contemplare la possibilità che i suoi medici possano fornirle informazioni accurate, è probabilmente il risultato di un indebolimento o di un disturbo nel funzionamento della sua mente o del suo cervello». Il giudice ha quindi affermato che «lei è spaventata dalla prospettiva di morire e si aggrappa al suo desiderio di sopravvivere malgrado i suoi medici le abbiano ripetutamente spiegato che è una condizione in cui non è possibile sopravvivere».
A meno che la famiglia non decida di appellarsi contro la decisione e abbia successo, il destino di ST sarà deciso in un’udienza dove il giudizio verterà sul suo “miglior interesse” e lei sarà rappresentata dall’Official Solicitor, il funzionario che rappresenta i pazienti incapaci di discernimento in procedimenti giudiziari di questo tipo.
La famiglia di ST, cristiana, ha speso tutti i propri risparmi per pagare gli avvocati per impedire al Servizio Sanitario Nazionale di porre fine alla vita della loro figlia. La loro ultima speranza è la terapia sperimentale a base di nucleosidi disponibile solo all’estero. Ma l’Ordine di Trasparenza imposto dalla Corte già nel marzo 2023 – che impone severe restrizioni nel rilascio di informazioni che possano portare all’identificazione di ST, dei familiari o dei medici coinvolti nel caso – impedisce alla famiglia di parlare alla stampa o di presentare richieste di fondi.
In una dichiarazione pubblicata da Christian Concern e comunicata tramite i loro avvocati, la famiglia ha affermato: «Questo è stato un anno di continue torture per la famiglia. Non solo siamo preoccupati per la lotta per la sopravvivenza della nostra amata figlia, ma siamo anche stati crudelmente imbavagliati per non poter parlare della sua situazione. Non ci è permesso chiedere alle persone preghiere o aiuto di cui ha disperatamente bisogno. È una questione di vita o di morte per nostra figlia raccogliere fondi per le cure in Canada, quindi queste restrizioni arbitrarie la stanno letteralmente uccidendo.
Siamo scioccati dalle parole del giudice che ha detto che nostra figlia non ha la capacità di prendere decisioni da sola, dopo che tutti gli esperti hanno detto il contrario. Siamo molto addolorati per questa ingiustizia e speriamo che, con la grazia di Gesù, venga corretta in appello».
Fonte: https://lanuovabq.it/it/sono-malata-ma-voglio-vivere-e-lospedale-chiede-ai-giudici-di-farla-morire
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