Nel dicembre del 1932 a Gruaro, paesino della provincia veneziana, il medico condotto Bettino Betti si vede recapitare dal Podestà dell’epoca un ordine perentorio inviato dal Prefetto Bianchetti, in cui si intima di eseguire la vaccinazione antidifterica a tutti i bambini del paese. Il medico di campagna, nella sua pragmaticità, già contrario alla vaccinazione usuale, in un primo momento si rifiuta, forte del fatto che non ci siano i presupposti per procedere in tal senso.
Si tratta di un vaccino sperimentale, trattato in un modo nuovo rispetto ai precedenti e chissà perché si innesta un’insistenza notevole da parte del Sindaco e del Prefetto affinché il medico si decida ad accettare l’ordinanza, che stabilisce l’avvio della campagna vaccinale dal 20 Marzo 1933.
Perfino il solerte parroco si unisce alla campagna di comunicazione massiva, sia durante la messa domenicale dall’altare sia girando il paese e recandosi personalmente
dalle famiglie più recalcitranti per convincerle dell’assoluta necessità della puntura.
Adamo Gasparotto è uno dei pochi sopravvissuti a quella campagna di vaccinazione coatta,
ed è grazie al suo paziente lavoro di ricerca negli archivi e alla realizzazione del libro “Strage di bambini di Gruaro” che questa storia è stata riesumata dall’oblio.
Dai documenti esaminati emerge il calendario molto fitto delle inoculazioni, che avvengono nell’edificio che ospita sia l’ambulatorio del dottore sia le aule della scuola, e in modo molto pratico i bambini passano dallo studio alla classe senza neanche uscire dallo stabile: “Lunedì 20 Marzo vengono vaccinati 47 bambini, martedì 92, mercoledì 48, giovedì nessuno, pausa, venerdì 10, sabato 33, domenica tutti a messa e altra pausa, il lunedì seguente 28 e martedì 28 Marzo gli ultimi 3. Totale : 254 bambini vaccinati in 9 giorni (mancavano all’appello le tre figlie del segretario comunale che non si sono presentate a scuola)”. Dal libro di Gasparotto: “Già dai primi giorni però
qualcosa non va per il verso giusto.
Tornati a casa dopo la puntura, o il giorno dopo, alcuni bambini non si reggono più in piedi e mangiando soffocano, come emerge dalle testimonianze di Vittorina Colautti, classe 1928. I genitori cominciano a chiedere spiegazioni al medico che però sostiene che quello che ci sta accadendo non è causato dal vaccino e continua anzi a farlo a tutti i bambini programmati”. Giuseppe Colautti (Beppino) è tra i 47 bambini vaccinati il primo giorno, inizia a star male da subito, non cammina più bene (finirà col morire il 28 Aprile). Il Dott. Bettino Betti però tira dritto continuando a zittire tutti quei genitori venuti a chiedere spiegazioni: “nessuna correlazione” è la risposta a tutti. Col procedere del programma vaccinale qualcuno dei bambini più grandi scappa dalla finestra all’arrivo in classe del medico Betti, qualcun altro non si presenta proprio. Sempre più voci raccontano di famiglie i cui figli sono stati male dopo la puntura.
La contromossa del Betti consiste nel chiudere a chiave porta e finestre delle aule appena entrato per vaccinare.” Il medico si mostra risoluto di fronte alle famiglie, ma all’aumentare delle troppe reazioni avverse presentatesi immediatamente dopo gli inoculi riesce a farsi prendere abbastanza dal dubbio da elencare i vari disturbi nel resoconto ai superiori (“eritemi, esantemi, urticaria, edemi, febbre, disturbi digestivi tenaci assai molesti e talora francamente preoccupanti”). Ma evita di fare cenno al sintomo più preoccupante di cui era stato posto a conoscenza fin da subito: la difficoltà a camminare e l’incapacità di reggersi in piedi, ovvero tutti gli eventi avversi di tipo neurologico a cui si aggiungono, poco dopo:
cecità, febbre alta, dolore e paralisi a vari livelli, bolle su tutto il corpo.
Tutti i 254 bambini vaccinati vengono ricoverati: i più gravi in ospedale a Padova e in quello di Portogruaro e nel dispensario comunale gli altri.
A partire dal 24 Aprile e fino al 16 Maggio si contano 28 morti, 13 maschi e 15 femmine. Sembra che in molti casi siano morti i più piccoli. Il medico Betti sarà costretto pochi mesi dopo a lasciare il paese per il feroce risentimento delle famiglie, ma il vero regista di questa strage e responsabile politico della tragedia è il prefetto Giovan Battista Bianchetti,
che nel settembre del 1933 lascia la laguna per la “promozione a capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri”
Il parroco Don Cuminotto e il dottor Betti successivamente sono addirittura insigniti da Vittorio Emanuele III del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona. In quei mesi l’agenzia di stampa del regime parlò di soli 10 morti per poi tappare la bocca a tutti i giornali che provarono a dare notizia sull’episodio di Gruaro, seguita e superata in quest’opera di insabbiamento dalla stampa cattolica, che lascia filtrare solo poche righe
senza mai nominare alcun morto. Nel Paesino si diffuse negli anni un’omertà dettata dal dolore del ricordo dei sopravvissuti, nelle famiglie si preferiva non parlarne, e anche i bambini sopravvissuti (quelli scappati dalle finestre della scuola) sono riusciti solo dopo 70 anni a far riemergere quella tragedia, con tutta la portata del senso di colpa introiettato per decenni.
Nella società rurale dell’epoca i familiari delle vittime non hanno avuto né colpa né informazioni adeguate: sono stati circuiti e ingannati, usati per un esperimento, dimenticati e abbandonati dalle stesse istituzioni che pretesero la loro fiducia. La Storia si ripete ogni volta con le stesse dinamiche, nell’eterno teatrino del Potere arrogante che impone con la prepotenza, il ricatto, la menzogna, l’obbligo immotivato e la coercizione ciò che “il popolo gregge” ogni volta accetta senza porsi domande, anche in un’epoca in cui potersi/volersi informare è alla portata di tutti.
Emanuela L. per ABC ARIABUONACHANNEL
Adagio, adagio, come diceva un personaggio noto per la sua perspicacia, vengono fuori notizie del genere, che vengono puntualmente censurate da chi ha interesse a non renderle pubbliche.
E la magistratura muta.
La battaglia di un sopravvissuto: Adamo Gasparotto, 86 anni:
«Per quelle vittime nemmeno una lapide» “In quel maledetto marzo 1933 fummo utilizzati come cavie umane. Io sono sopravvissuto, tanti altri bambini no. Ma a tutti quei piccoli martiri non è dedicata nemmeno una targa”
Sono passati esattamente ottant’anni, ma il ricordo è ancora vivo nella mente di Adamo Gasparotto, che ora abita a Spinea e di anni ne ha quasi 86. Per gli storici locali e per gli anziani residenti del paese, quella del 1933 è ricordata come “La strage di Gruaro”.
La storia, struggente, è documentata da molte ricerche storiche relative al periodo fascista e merita di essere ripercorsa con le parole di uno dei due testimoni diretti ancora vivi.
«Il prefetto e le altre autorità di allora, su indicazione del regime, scelsero i Comuni di Gruaro e Cavarzere per testare un nuovo vaccino contro la difterite – racconta Gasparotto -. Il nostro dottore era del tutto contrario, ma evidentemente c’era il bisogno di provare sul campo il vaccino. La puntura venne fatta a 253 bambini e ben 28 morirono nei giorni seguenti. Quasi sotto silenzio». Tra quei 253 bimbi c’erano pure Gasparotto e la sua sorellina di tre anni: «Ci somministrarono quel vaccino all’ambulatorio comunale, ma tornati a casa ci sentimmo tutti male – racconta riportando le testimonianze degli adulti dell’epoca -. Si cadeva a terra e, mangiando, si rischiava di soffocarsi. Tutti piangevano, il paese era in apprensione. Alla fine ci dovettero ricoverare a Portogruaro, dove l’ospedale era pieno e vennero organizzati reparti di fortuna. Eravamo tutti terrorizzati, ogni tanto qualche bambino moriva e si capiva dalle urla delle mamme». Gasparotto e la sorellina se la cavarono, e solo negli anni seguenti si chiarì quanto era successo: «Un contenitore di siero in un laboratorio di Napoli non fu fatto bollire – racconta Gasparotto -. Le fiale che finirono a Gruaro contenevano vaccino vivo, una sostanza letale».
Gasparotto ripercorre pure i giorni seguenti riportando i racconti della madre: «Molti genitori andarono a farsi sentire in municipio muniti di bastoni. Capito l’errore e visto ciò che stava succedendo le autorità salirono a Gruaro per far sparire ogni traccia di quel vaccino. Passarono di famiglia in famiglia per raccattare tutte le scatole vuote». Una storia, quella della strage di Gruaro, confermata pure dalle ricerche di Gianni Strasiotto (studioso di storia locale, per 26 anni sindaco di Pravisdomini in provincia di Pordenone) e Ariego Rizzetto, docente scolastico e storico del Veneto Orientale. Il primo ne fa riferimento in una ricerca sulla storia della diocesi di Concordia, il secondo la cita nella pubblicazione «Gruaro, venti secoli di storia». Nel testo, Strasiotto aggiunge ulteriori dettagli: «Il vaccino venne somministrato ai bimbi dai tredici mesi agli otto anni, il costo per dose era di 80 centesimi, ma gratuita per le famiglie non abbienti. I parroci di Gruaro e della frazione di Bagnara vennero invitati a illustrare la bontà del vaccino alla popolazione: si verificarono 28 decessi a causa di paralisi, molti altri bimbi restarono segnati per tutta la vita».
Un elemento importante lo aggiunge pure Rizzetto: «Non venne svolta, a quanto risulta, alcuna indagine giudiziaria per accertare le responsabilità».
Ottant’anni dopo Adamo Gasparotto non pretende giustizia, ma chiede solo che quei bimbi vengano ricordati come meritano, ed è per questo che nei mesi scorsi ha scritto all’amministrazione di Gruaro: «In quelle tombe non c’è una parola che spieghi come e perché sono morte quelle creature. Dovrebbe essere posta almeno una targa, una lapide che spieghi la causa della morte di quei piccoli innocenti». Gabriele Pipia
Un altro articolo sulla strage di Gruaro
https://www.giornalesentire.it/it/corvelva-la-strage-di-gruaro