“I sintomi di mioartralgi, i sintomi di difficoltà nella concentrazione, di nebbia cerebrale, di fatica cronica sono sicuramente dei sintomi che mettono in difficoltà i nostri pazienti e non li fanno più sentire quelli che erano prima” afferma il dottor Fernando Lunédi, responsabile Centro Long Covid intervistato all’interno del TGR Lazio.
“Ma per quale motivo alcuni sì ed altri no, c’è una predisposizione nei pazienti, ha a che fare con l’età, con il sesso o con la gravità del covid, l’ho preso più grave, l’ho preso meno grave?” chiede il giornalista Rosario Carello.
“Esistono tanti long covid – risponde il dr. Lunédi – quante sono le persone; dipende dal vaccino usato, dipende dalla propria costituzione, dipende dall’età, dal sesso“.
“Cosa vuol dire dal vaccino usato?” interviene prontamente il giornalista RAI.
In un certo senso possiamo vedere che questo long covid va escluso da altri tipi di patologie e a volte va associato in differenti modi al vaccino che il paziente ha avuto” risponde il dr. Lunédi.
“Alla tipologia di vaccino?” interviene ancora il giornalista.
“Alla tipologia, alla quantità di dosi, alla frequenza di dosi nel intervallo fra l’inoculazione e la malattia, l’infezione da long covid” risponde il responsabile Centro Long Covid.
“Ma chi ha avuto il vaccino o non l’ha avuto fa differenza rispetto al lungo covid?” chiede il giornalista piuttosto sorpreso.
“Sicuramente è una sindrome che va distinta, senza mettere una bandierina di necessità, dobbiamo dire che il long covid in un paziente vaccinato sicuramente ha una pertinenza maggiore rispetto un paziente che non lo è” risponde in modo inequivocabile il dr. Lunédi.
“Cioè un impatto maggiore? Il vaccino può essere un elemento scatenante del long covid?” conclude il giornalista RAI.
“No, può essere uno strumento che complica sicuramente l’infezione dal long covid” risponde il dr. Fernando Lunédi responsabile del Centro INI.
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