La terapia a base di antinfiammatori, in particolare i FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), è “fondamentale per la gestione dei pazienti ambulatoriali con i primi sintomi del Covid-19, poiché l’attenuazione degli stessi protegge dalla progressione verso una malattia più grave che alla fine potrebbe richiedere il ricovero, gravando enormemente sul sistema ospedaliero”. È quanto si legge all’interno di un nuovo studio (precisamente una revisione) pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases, con il quale sono stati analizzati i dati degli studi sul Covid e sugli antinfiammatori condotti tra il mese di gennaio 2020 e quello di maggio 2022. Tra i risultati emersi a catturare l’attenzione sono quelli relativi al rischio di ospedalizzazione, drasticamente ridotto dall’utilizzo dei FANS. Esaminando i dati di 90 pazienti con Covid-19 da lieve a moderato curati in ambito domiciliare tramite un “trattamento basato sui FANS” (dando priorità agli inibitori della COX-2, un enzima coinvolto in diversi processi fisiologici e patologici) e confrontandoli con i risultati di 90 pazienti di pari età, sesso e comorbidità che erano stati sottoposti ad “altri regimi terapeutici”, è infatti emerso che il trattamento basato sui FANS “ha impedito quasi completamente la necessità di ospedalizzazione a causa di una progressione verso una malattia più grave rispetto ai pazienti del gruppo di controllo”. Una differenza abissale, al punto tale che i ricercatori parlano di “una riduzione di oltre il 90% del numero complessivo dei giorni di degenza e dei relativi costi di cura”, nonché di una persistenza dei sintomi “meno frequente” e comunque relativa ad “un periodo più breve” nei pazienti curati con i FANS.
Si tratta di risultati senza dubbio notevoli, anche poiché “confermati da un ulteriore studio di coorte condotto su 216 pazienti ambulatoriali con Covid-19 da lieve a moderato, gestiti dai loro medici di famiglia, che ha dimostrato che l’adozione del trattamento ambulatoriale basato sui relativamente selettivi inibitori del COX-2 durante la fase iniziale della malattia ha ridotto l’incidenza del successivo ricovero e dei relativi costi”. Certo, come sottolineato dagli stessi autori dello studio “saranno necessari futuri studi randomizzati per consolidare questi risultati osservazionali positivi”, tuttavia non si può non sottolineare come i dati emersi abbiano una indubbia importanza, soprattutto poiché di fatto smontano le tesi fino ad ora propagandate dai media mainstream.
Per molto tempo, infatti, non solo i giornali italiani hanno screditato le cure domiciliari precoci ed i medici che sostenevano fossero fondamentali, ma hanno altresì letteralmente sconsigliato di assumere farmaci antinfiammatori. “Non prendete antinfiammatori per proteggervi”, ad esempio titolava in data 16 marzo 2020 – sulle base delle affermazioni di alcuni “specialisti” – il quotidiano la Repubblica in merito alla questione Coronavirus, mentre il 5 settembre 2021 il Resto del Carlino affiancava le “cure domiciliari Covid” alle “teorie no vax”. Anche i noti esperti ospitati nei programmi televisivi non si sono astenuti dal conferire pareri alquanto negativi nei confronti delle cure domiciliari: ultimo in ordine di tempo l’infettivologo Massimo Galli, che all’Adnkronos Salute in data 4 maggio 2022 – relativamente alle cure domiciliari – spiegava: «Per ora non ci sono». Dichiarazioni su cui inevitabilmente bisogna porre la lente d’ingrandimento, poiché arrivate in un momento in cui già vi erano studi che confermavano l’efficacia delle cure domiciliari nel diminuire i ricoveri.
Con lo studio adesso pubblicato sul The Lancet Infectious Diseases, però, è stato aggiunto un ulteriore tassello, non solo poiché si parla del 90% di efficacia dei FANS e si sottolinea che i principali FANS raccomandati sono “gli inibitori della COX-2 relativamente selettivi” come “l’indometacina, l’ibuprofene e l’aspirina”, ma altresì poiché ad essere messo in cattiva luce è il paracetamolo, raccomandato in prima battuta all’interno delle linee guida del Ministero della Salute. “Alcune delle raccomandazioni suggeriscono il paracetamolo come terapia sicura per la gestione precoce del dolore e della febbre nelle persone con il Covid-19. Tuttavia, si dovrebbe considerare che (oltre ad essere un farmaco con capacità antinfiammatorie trascurabili) a dosi relativamente basse il paracetamolo riduce le concentrazioni plasmatiche e tissutali di glutatione, il che potrebbe aggravare il Covid-19”, affermano infatti gli studiosi.
[di Raffaele De Luca]
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