VENEZIA – Centomila euro per aver violato la privacy dei sanitari non vaccinati in Veneto. È la sanzione comminata dal Garante per la protezione dei dati personali alla Regione, che l’ha già pagata ma frattanto l’ha anche impugnata, con l’intenzione di dimostrare in Tribunale la propria buona fede. Sotto accusa è finita la decisione di coinvolgere i medici del lavoro, all’inizio della campagna anti-Covid, nella sensibilizzazione dei colleghi e degli altri dipendenti all’obbligo di immunizzazione: contro quell’iniziativa erano state presentate «decine di reclami e segnalazioni», il che aveva determinato l’avvio dell’istruttoria.
IL CARICO
Nel corso del procedimento, andato avanti per un anno e mezzo, la Regione si è difesa con l’assistenza dell’avvocato Maria Luisa Miazzi. Bisogna tornare all’aprile del 2021, quando fra le strutture pubbliche e private si contavano complessivamente 61.443 sanitari non vaccinati, di cui 12.580 dipendenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale. In base alla normativa, le Ulss avrebbero dovuto «effettuare 60.000 accertamenti» per verificare i motivi del mancato adempimento: «Un tale carico di lavoro non poteva essere tollerato dal sistema regionale che ha, è bene dirlo, comunque fortemente sofferto, nonostante tutte le azioni di supporto poste in essere dalla Regione». Per questo erano stati coinvolti «i medici competenti», cioè appunto i medici del lavoro delle varie aziende sanitarie, «per avere il loro supporto nel tentativo di convincere» gli operatori riluttanti. A ciascuno degli incaricati era così stato trasmesso l’elenco dei non vaccinati residenti in quella provincia, con l’avvertenza di inviarlo «alla casella di posta elettronica individuale» dell’interessato e di proteggerlo con una password «comunicata attraverso un canale separato».
LA LEGGE
Queste precauzioni non sono però bastate ad evitare il rimprovero del Garante, secondo cui le esigenze di ridurre i contagi e snellire le procedure avrebbero potuto essere perseguite «attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione del personale presso le singole aziende sanitarie, se del caso con l’ausilio dei medici competenti, senza tuttavia ricorrere alla comunicazione di dati personali, non prevista dalla legge». Infatti l’Autorità ha ritenuto che «la sistematica e generalizzata messa a disposizione» di quelle liste, «pur non riguardando dati relativi alla salute», ha comunque «dato luogo a una comunicazione di dati personali non prevista dalla legge». Quali erano queste informazioni? Codice fiscale, cognome, nome, data di nascita e sesso.
IL RICORSO
Su indicazione del presidente Luca Zaia al direttore generale Luciano Flor, il Veneto ha depositato un ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, anche se nel frattempo ha pagato la sanzione non essendo prevista la sospensione in pendenza dell’appello. L’obiettivo è far valere le circostanze comunque riconosciute dal Garante, quando ha scritto di aver «considerato che la Regione ha operato in buona fede, al solo fine di supportare le proprie aziende sanitarie in un momento particolarmente complicato e al fine di sensibilizzare gli interessati ad aderire alla vaccinazione, in un settore già pesantemente colpito da decessi tra il personale sanitario». Un’attività svolta, ha rilevato l’Autorità, in un «contesto emergenziale» e «in assenza di disposizioni di attuazione a livello nazionale» dell’obbligo vaccinale.
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