A Bruxelles e a Washington sono ore di grande sconcerto e paura. Si stanno già diffondendo le prime indiscrezioni di fughe di personaggi di primissimo piano del mondo dello stato profondo americano.
Soltanto negli ultimi giorni sono stati due nomi di primissimo piano a lasciare i loro rispettivi incarichi, quello di Kevin Thurm, direttore della nota Clinton Foundation, nella quale sono affluiti anche i soldi dei finanziatori dell’ISIS, su tutti Qatar e Arabia Saudita, e Stephane Bancel, direttore commerciale di Moderna, una delle famigerate case farmaceutiche che ha distribuito il vaccino Covid.
I più nervosi sembrano essere proprio loro. I signori del cartello farmaceutico che ieri avrebbero avuto una riunione di emergenza per discutere il da farsi dopo la schiacciante vittoria di Donald Trump.
Si susseguono chiamate agitate, voci al telefono dalla quali trasuda puro panico perché non sono in pochi a temere una serie di cause giudiziarie a valanga per i danni che il cartello farmaceutico ha provocato a milioni di persone con la distribuzione dei vaccini, che non sono nemmeno vaccini nel senso classico del termine, ma dei composti sintetici a base di grafene e nanobot che non avevano e non hanno altro scopo che quello di provocare malattie e morti improvvise ai danni di chi lo ha ricevuto.
Addirittura lo stesso Obama viene dato in fuga prossima dagli Stati Uniti, presumibilmente per scappare dalle maglie della giustizia, probabilmente più militare che civile, che vuole chiedergli conto dello spionaggio illegale eseguito ai danni di Donald Trump con l’assistenza di varie agenzie investigative americane, quali l’FBI, e con il sostegno del governo Renzi e dei servizi segreti italiani.
A Bruxelles sono probabilmente ancora più agitati poiché il secondo, o terzo, mandato di Trump è quello che può chiudere definitivamente il cerchio, quello che può recidere definitivamente il cordone ombelicale che c’è stato tra Stati Uniti ed Europa negli ultimi 80 anni e che ha costituito quello che gli analisti liberali amano chiamare “ordine Euro-Atlantico”.
Gli Stati Uniti: da garanti dell’atlantismo a loro rivale
Non c’è stata infatti una vera e propria politica estera dei Paesi europei negli ultimi 80 anni, ma una decisa in ampia parte dai vari circoli del potere che sono stati gli arbitri a loro volta del corso politico di Washington.
I loro nomi sono noti. Sono i soliti sospetti, per così dire, dell’universo globalista e sionista composta da istituti quali il Bilderberg, l’Aspen, il Council on Foreign Relations, il Bohemian Grove, l’AIPAC, Chabad Lubavitch e la Commissione Trilaterale, nei quali c’è sempre presente il finanziamento delle famiglie Rockefeller, Rothschild, Warburg e delle “grandi” banche della finanza ebraica quali Goldman Sachs e JP Morgan.
Gli Stati Uniti hanno vissuto una condizione di commissariamento della loro sovranità a tale apparato e gil uomini che in passato hanno provato a recidere i fili che legavano l’America ai signori del mondialismo, sono stati uccisi, come John Kennedy e suo fratello Robert uccisi in quanto minacce intollerabili per la nazione prediletta del Nuovo Ordine Mondiale, ovvero lo stato di Israele.
Trump è riuscito a compiere l’impresa che non era riuscita ai suoi predecessori, e ciò è stato possibile soltanto grazie ad una difesa e protezione costante delle forze armate americane che in più di una occasione gli hanno salvato la vita da molteplici attentati.
Adesso, da quest’altra parte dell’Atlantico, sono in molti a chiedersi quale sarà il destino della parte europea dell’atlantismo senza il supporto degli Stati Uniti, le cui forze armate da sole non sono altro che la forza militare stessa della NATO.
Trump lo disse in termini alquanto espliciti. La NATO è soltanto una tigre di carta senza gli Stati Uniti e coloro che a Bruxelles vagheggiano di “esercito europeo” prendono soltanto in giro sé stessi.
L’Unione europea non è in grado di costituire una forza militare pari a quella degli Stati Uniti, poiché è priva della necessaria industria bellica e soprattutto perché non c’è affatto una intenzione di voler fondere le proprie forze armate per costituire una forza armata europea.
Tale passaggio sarebbe possibile soltanto se si desse vita ad un superstato europeo, gli Stati Uniti d’Europa, il “sogno” del conte Kalergi che voleva costruire una falsa Europa senza europei e senza radici cristiane pur di compiacere, parole sue, il mondo ebraico che così generosamente lo finanziava negli anni’20 e ’30 del secolo scorso.
L’Europa, per parafrasare un non compianto personaggio politico, è soltanto una espressione geopolitica.
Bruxelles è nota, o famigerata, per essere soltanto la sede di un elefantiaco apparato composto da burocrati e commissari sconosciuti ai vari cittadini europei, che non li eleggono, e che rispondono soltanto alle varie lobby che finanziano la Commissione e il Parlamento europeo.
L’UE, come applicazione pratica, altro non è stata che una diretta emanazione della volontà degli Stati Uniti e dei centri di potere che avevano in mano l’America.
La storia è scritta su carta, ed è ufficiale.
Sul finire degli anni’40, l’amministrazione Truman aveva già stabilito che era necessario far affluire fondi alla nascente architettura dell’Europa comunitaria, i cui primi mattoni sono stati posti con la comunità del carbone e dell’acciaio e successivamente con il trattato di Roma del 1957.
Al Comitato americano per una Europa Unita presieduto da William Donovan, a capo dell’allora OSS, l’antenato della CIA, fu assegnato il compito specifico di far affluire i fondi necessari a quella che sarebbe stata l’odierna Unione europea, che nasce ufficialmente nel 1992 a Maastricht, ma la cui preparazione è stata elaborata per quasi tutto il’900, sia dal conte Kalergi che concepì la sua visione cosmopolita e multiculturale dove gli europei venivano a poco a poco sostituiti dai nuovi “europei”, gli immigrati afro-asiatici, sia dai vari comitati allestiti dagli Stati Uniti che hanno accompagnato passo dopo passo la nascita dell’UE
William Donovan
Washington voleva una Europa unita attraverso l’UE perché serviva, nell’ottica della costruzione di una governance europea e globale, liquidare gli Stati nazionali e sostituirli appunto con questi conglomerati sovranazionali, i quali a loro volta, rispondevano non certo ai popoli europei ma ai soliti signori dei think tank globalisti e alle solite famiglie dell’alta finanza ebraica che volevano mettere fine alle sovranità nazionali.
E’ la storia del Nuovo Ordine Mondiale che ha marciato incessantemente per larga parte del’900 e per i primi anni del secolo in corso, fino a quando il macchinario che voleva fagocitare ogni singola nazione è stato smantellato dalla opposizione della Russia di Putin e quella successiva degli Stati Uniti di Trump, non più parte integrante del mondialismo, ma suo principale avversario assieme a Mosca.
L’Euro-Atlantismo, evidentemente, non può reggersi soltanto sulla gamba europea in quanto questa non ha la forza né la struttura per proseguire nel cammino precedente senza la protezione della sponda americana dell’Atlantico.
La paura dei vertici mondialisti europei
Stavolta i vari burocrati europei sembrano ancora più preoccupati di quello che già non fossero ai tempi del primo mandato di Trump.
Ad esprimere tale preoccupazione è stato, tra gli altri, Leslie Vinjamuri, membro della Chatam House, che è l’omologo inglese del CFR americano e uno di quegli istituti che sono da considerarsi a tutti gli effetti come la sovrastruttura che ha avuto in mano le sorti delle democrazie liberali Occidentali.
La Chatam House, in particolare, negli ambienti britannici è divenuta persino più importante della Tavola Rotonda, la cosiddetta Round Table, un’altra sovrastruttura governativa, e il ramo inglese della famiglia Rothschild ha iniziato già ad assegnare verso l’inizio del secolo scorso più importanza alla prima rispetto alla seconda per quello che riguarda la direzione degli affari esteri della nazione.
Il fine di questo istituto è stato espresso chiaramente da uno dei suoi membri, lo storico Arnold Joseph Toynbee, che nel 1931, a Copenaghen, si espresse così a tal proposito.
“Stiamo attualmente lavorando con tutti coloro che possono far dimenticare agli stati nazionali del mondo dimenticare quel misterioso potere chiamato “sovranità”. E neghiamo costantemente quello che facciano.”
Toynbee non era altro che uno di quegli accademici che si sono messi al servizio di questa idea, e che hanno dichiarato guerra alle sovranità nazionali, attraverso un fiume di libri e pubblicazioni tutte volte a raffigurare lo Stato nazionale come un ingombrante retaggio del passato “superato” invece delle sovrastrutture transnazionali che hanno concentrato il potere nelle loro mani, fino ad allargare sempre più a dismisura la forbice tra le elite finanziarie e i popoli.
Stesso potere e stesso fine rappresenta quindi il citato Vinjamuri, che però ha detto qualcosa di molto interessante su questo ritorno ufficiale di Trump e che lascia capire come i poteri che gestiscono questi istituti si attendono il peggio.
Il direttore della Chatam House ha infatti detto che “un secondo mandato di Trump sarebbe differente, in quanto il presidente sa perfettamente chi lo ha ingannato sul piano internazionale e domestico e ha studiato un piano con il suo gruppo per tagliare le gambe a questi personaggi”.
Si può essere d’accordo, ma con una qualche precisazione. Trump e i suoi consiglieri non si sono improvvisati.
Non sono stati realmente giocati, ma in diverse occasioni hanno soltanto dato l’apparenza di esserlo come accaduto nel 2020, quando ci fu la frode elettorale e quando a Bruxelles e a Washington si illudevano di aver risolto i propri problemi per poi ritrovarsi con un Biden che non eseguiva le direttive e che copriva di ridicolo tutti i circoli del mondialismo con le sue innumerevoli gaffe.
La fase attuale è quella della chiusura del cerchio, ovvero quella nella quale si arriva alla conclusione di un piano ben studiato almeno dal 2015, e che adesso, su questo Vinjamuri ha ragione, consentirà a Trump di dare il colpo di grazia agli ultimi nemici del sovranismo americano, su tutti l’UE e la NATO.
L’Euro-Atlantismo, appare evidente, non può farcela. E’ impossibile che l’UE, nata su impulso di Washington, riesca a sopravvivere ad una Washington che decide di esercitare tutto il suo potere contro la stessa UE.
Bruxelles non solo non può sopravvivere geopoliticamente e militarmente, ma nemmeno commercialmente perché se si apre un nuovo capitolo della guerra commerciale iniziata nel 2016, Trump può assestare la spallata definitiva all’Unione e accelerare il suo processo di disgregazione.
Non sono infatti gli Stati Uniti ad aver bisogno dell’UE, ma viceversa. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco dell’Europa per un volume commerciale che ammonta a circa 527 miliardi di dollari.
Le esportazioni americane invece sono dirette principalmente a tre Paesi, quali Canada, Messico e Cina, per un valore complessivo di più di 750 miliardi di dollari.
La guerra commerciale, se ci sarà, è persa in partenza da Bruxelles. L’isteria dei quotidiani europei a questo riguardo si vede anche su uno dei quotidiani dell’universo progressista francese, Le Monde, che più che un articolo scrive un epitaffio dell’ordine liberale della seconda guerra mondiale, rammaricandosi che gli Stati Uniti ormai non hanno più messo a disposizione la loro superpotenza al servizio della fine delle sovranità nazionali, come auspicava Toynbee, ma invece sono diventati l’incubo di tutti quei potenti che avevano assegnato a Washington lo scettro del Nuovo Ordine Mondiale.
Anche Il Guardian britannico fa eco al quotidiano francese quando parla di “disastro per l’Europa” per il ritorno di Trump e invita Londra e Bruxelles ad una sorta di ultima resistenza che sembra quasi evocare la caduta del regime nazista rinchiuso nel suo bunker alla fine della seconda guerra mondiale.
I primi pezzi di questo fragile edificio sono già cominciati a cadere. Ieri sono giunte le dimissioni del ministro delle Finanze tedesco, Lindner, in disaccordo sulla manovra economica con il cancelliere Scholz che vorrebbe continuare a inviare fondi ai nazisti ucraini, mentre l’ex ministro voleva invece mettere al primo posto le esigenze delle economie tedesche.
La Germania da locomotiva d’Europa grazie all’euro è diventata oggi la sua zavorra, e sta sprofondando in una pesante crisi economica e in una violenza deindustrializzazione.
Ieri sono giunti i dati del mese di settembre. -2,5% di produzione industriale per la Germania contro il -1% previsto.
La Germania sta andando a rotoli, e se quello che era, assieme alla Francia, il perno dell’UE crolla così rapidamente quali speranze ha di sopravvivere l’Unione se si pensa che adesso a questo scenario si è aggiunto il ritorno ufficiale di Trump e delle sue politiche sovraniste ostili a qualsiasi proposito di cessione di sovranità a strutture sovranazionali.
Non sorprende quindi che L’UE abbia paura.
Ha paura perché sa che si stanno verificando quella serie di contingenze politiche interne e internazionali che possono spazzare definitivamente via il carrozzone burocratico.
Sono ore di angoscia a Bruxelles, e sono ore vitali per i popoli europei che presto potrebbero tornare finalmente ad essere i padroni delle proprie nazioni.
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