Di Cesare Sacchetti
A nulla sono valsi gli appelli dei vari inquilini delle istituzioni della disgraziatissima repubblica dell’anglosfera.A nulla sono valsi gli spot televisivi accompagnati da una carrellata di immagini nei quali si vedono una serie di persone dai volti inquietanti che invitano a partecipare al voto per difendere la “democrazia”, sempre nel reiterato e futile tentativo di voler far ancora apparire tale disfunzionale sistema come un bene prezioso da salvare.E a nulla sono valse le aperture straordinarie in anticipo dei seggi già il sabato alle 15 fino ad arrivare ad avere 25 ore di urne aperte.Il governo Meloni probabilmente se avesse potuto li avrebbe tenuti aperti una settimana, ma quello che c’era dentro l’urna non avrebbe cambiato assolutamente nulla.Così come a nulla è valso l’accorpamento con le amministrative sempre alla disperata ricerca di gonfiare un po’ i numeri dell’affluenza che, ricordiamolo, va vista anche con i numeri delle schede bianche e nulle che al momento non sono ancora disponibili.Il risultato non è cambiato.Le urne sono state disertate, come ci si attendeva che fossero con delle percentuali di votanti che hanno raggiunto la misera soglia del 49,6%, diventando di fatto la minoranza che ancora si illude in cuor suo che il votare la presente, e declinante, offerta politica faccia in qualche modo la differenza.Per la prima volta nella tormentata storia della repubblica del 1946-48 gli italiani che non partecipano al voto sono più numerosi di quelli che partecipano.Sono saltati del tutto i fragili equilibri che reggevano il sistema costituzionale concepito, non è un segreto, da diversi membri della libera muratoria.L’Italia ad un punto cruciale della sua storiaLa fase del consenso liberal-democratico è definitivamente conclusa e in seguito se ne approfondiranno meglio le ragioni.In questo momento siamo al giro di boa della storia della repubblica dell’anglosfera iniziata nel lontano 1943 sotto la tenda di Cassibile quando il generale Castellano cedette la sovranità di questa nazione alle potenze angloamericane non avendo nemmeno l’autorità per farlo, in quanto il legittimo presidente del Consiglio era a tutti gli effetti Benito Mussolini che era stato spodestato con un colpo di Stato nel luglio del’43 e che commise in precedenza il fatale errore di allearsi con la Germania Nazista di Hitler, verso il quale ha sempre nutrito una certa diffidenza accompagnata da un non malcelato disprezzo.L’Italia, com’è noto, ha scontato il fardello di quella sciagurata decisione nei decenni successivi, ritrovandosi a diventare uno Stato satellite la cui politica estera è stata in larga parte scritta da Washington ma soprattutto dalle potenti lobby che governano le amministrazioni presidenziali americane, su tutte quella sionista che ha di fatto scritto la politica estera americana fino al 2016, anno nel quale salì al potere Trump che ha messo fine alla stagione delle guerre permanenti degli Stati Uniti scatenate in nome e per conto dello stato ebraico.La classe dirigente della Prima Repubblica nonostante il perimetro ristretto della sovranità tracciato da Washington aveva saputo ugualmente perseguire gli interessi nazionali italiani tanto da rendere l’Italia una straordinaria eccezione all’interno della NATO, quando questo Paese è stato quello che più di tutti era vicino alla causa palestinese.Non è un segreto che il solco della politica estera tracciato da Andreotti e Craxi non era certo gradito da Israele e dal movimento sionista mondiale poiché l’Italia è un Paese a vocazione mediterranea, e se questo è vicino al mondo arabo ciò rappresenta certamente un problema per i propositi imperialistici di Israele.Nonostante tutti i limiti di tale sistema e nonostante la condizione di sovranità limitata, tale classe dirigente era riuscita a portare sviluppo e benessere ad un Paese che dalle macerie della seconda guerra mondiale costruì una delle potenze industriali più forti del mondo.All’epoca, la politica era ancora tale. I partiti avevano un vero rapporto con la loro base elettorale e il cittadino comune si sentiva effettivamente rappresentato dal politico che mandava nelle istituzioni, poiché questi rispondeva e aveva a cuore gli interessi di chi lo votava e non quelli dei poteri della finanza anglosionista e delle varie istituzioni sovranazionali.La politica era legata al territorio, e il territorio credeva nella politica tanto è vero che le percentuali di partecipazione al voto raggiungevano soglie del 90%, impensabili ai tempi moderni in quanto oggi la politica è qualcosa di molto diverso da quello che era 40 o 50 anni.Il 1992 è ciò che rompe questo rapporto.Quella rivoluzione colorata partorita dagli ambienti dello stato profondo americano aveva la necessità di liquidare quella classe politica, giudicata troppo indipendente per i parametri di Washington, e il potere decisionale è passato dalle mani della politica a quelle di oscuri e ignoti commissari europei che non passano nemmeno dalla legittimazione popolare delle urne.La politica da affare per molti diviene un affare per pochi. Non è più Roma a decidere, ma Bruxelles, Londra e Washington tanto che sono le istituzioni europee a scrivere le manovre finanziarie, circostanza semplicemente impensabile un tempo, e oggi divenuta “normalità”.Il trasferimento del potere da Roma a centri di potere esteri ha inevitabilmente allargato la distanza tra il popolo e le istituzioni.Nell’uomo comune si diffonde la consapevolezza che votare non cambia poi molto perché in ultima istanza non sono certo gli interessi dell’uomo della strada ad essere rappresentati nei palazzi, ma quelli di influenti lobby che aspirano ad una concentrazione del potere a livello globale, chiamata dai vari tecnocrati “governance mondiale”.La farsa pandemica e la irreversibile crisi della liberal-democraziaLa farsa pandemica non ha fatto altro che accelerare enormemente la presa di consapevolezza che nella democrazia liberale non esistono vere ed essenziali distinzioni di sorta tra uno schieramento e l’altro.Semplicemente, l’operazione che i vari signori del globalismo avevano accuratamente preparato molti anni prima ha mostrato che la politica ormai era ridotta ad essere una protesi del cartello farmaceutico, di Bill Gates, di George Soros, delle famiglie Rothschild, Rockefeller, e Warburg soltanto per citare alcuni degli uomini più influenti del pianeta.A cosa serve in fin dei conti il voto se poi il “mio” rappresentante una volta eletto agisce per attuare la visione del Nuovo Ordine Mondiale e consegnare la sovranità del Paese a questo manipolo di oligarchi che sogna di costruire un governo mondiale?Senza tanti orpelli, è questa la semplice e fondamentale intuizione al quale è giunto l’uomo comune.Questa offerta politica è fatta per rappresentare gli interessi di altri, e non quelli della nazione e del popolo, ed è per questo che dopo il 2020 la democrazia liberale è entrata in una fase ancora più acuta della sua crisi iniziata nel 1992.Il risultato delle europee è lì a dimostrare il requiem della repubblica dell’anglosfera.Adesso ci si chiede quale futuro attende l’Italia dopo le ultime elezioni europee.Quale sarà il futuro di questo Paese dopo il fallimento delle ultime consultazioni per il Parlamento europeo?Il popolo ha parlato e ha espresso chiaramente tutto il suo distacco dalla presente offerta politica poiché essa nella sua interezza non è certo fatta per chiudere l’esperienza del liberalismo ma piuttosto per preservarla.Questo ha dato vita ad un processo, a nostro avviso, irreversibile. La crisi di fiducia delle istituzioni repubblicane si è aggravata ancora di più, anche perché queste ormai restano avviluppate su sé stesse dentro la loro bolla dedicandosi allo scialbo esercizio della autocelebrazione, immuni a quanto accade nel mondo reale.Il popolo non vorrà più saperne della politica fino a quando essa non tornerà ad essere un arte al servizio del bene comune e non una invece al servizio del male di molti e del bene di pochissimi.Questa politica poi ha finito con il perdere anche la protezione del vecchio garante angloamericano in quanto esso dopo l’avvento di Trump si è disimpegnato dalla partecipazione alla governance e ha lasciato orfani non pochi peones qui in Italia.La fase attuale è quella che prevede un aggravarsi di questa crisi strutturale.Siamo entrati ormai nel territorio del quale parlò Giulio Andreotti nel 1984. Siamo nel territorio dove la linfa vitale delle istituzioni parlamentari, rappresentata dal voto, si svuota e toglie alla repubblica dell’anglosfera l’ossigeno di cui ha bisogno per restare in vita.Ciò spiega l’irritazione non solo dei partiti dell’establishment ma anche di tutti quelli della piccola galassia del falso sovranismo che hanno rovesciato non pochi improperi e minacce nei riguardi di coloro che giustamente non vogliono più saperne di una partita truccata dove vince sempre il banco.La fase successiva a nostra avviso sarà quella del probabile stallo governativo poiché non è un segreto che la Meloni stia guardando a Bruxelles, dove è stata già eletta, per avere qualche altro incarico e lasciare così l’ingombrante ruolo di parafulmine a palazzo Chigi che nessuno vuole e può occupare dopo di lei.Abbiamo probabilmente davanti un biennio o triennio di complessiva instabilità politica che porterà via via all’uscita di scena dei vari attori rimasti sul palcoscenico, che ora sono passati a farsi la guerra tra di loro nel tentativo di sopravvivere a questa fase.Siamo giunti all’epilogo della esperienza repubblicana di Cassibile? Difficile dirlo con certezza, ma i segnali di una generale dismissione sembrano esserci tutti.L’Italia ha alle sue spalle un lungo viaggio. Un viaggio fatto di dolore, sofferenza, tradimenti e saccheggi.E tale viaggio non è stato fatto sotto qualche “totalitarismo fascista”, ricordiamolo. E’ stato fatto nella tanto, non da noi, celebrata democrazia liberale.E’ nel liberalismo che l’Italia ha perso la sua sovranità. E’ nel liberalismo che l’Italia ha rinunciato alla sua identità cristiana e latina, per adottarne un’altra di natura protestante e nord-europea.Sotto certi aspetti, la crisi delle istituzioni liberali odierne ricorda assai quella che precedette la loro fine prima dell’avvento del fascismo.E questa appare essere una prospettiva che terrorizza non poco i vari peones dello stato profondo italiano che continuano a celebrare compulsivamente i loro riti nei quali si celebra l”antifascismo” e la costituzione nata con l’occupazione americana e con il tradimento di Cassibile.Il problema, per lor signori, è che a partecipare a questi riti ci sono soltanto loro e quando questo accade ci sono persino zuffe furiose come visto l’ultimo 25 aprile con la brigata ebraica che se le dava di santa ragione con gli altri nostalgici dei partigiani rossi, le cui mani intrise di sangue scrissero poi la carta alcuni anni dopo.Questo è il punto nel quale è giunta la repubblica di Cassibile. E’ giunta al punto nel quale dentro di essa le sue bande si combattono mentre al di fuori di essa c’è soltanto disprezzo accompagnato a diffidenza.La maggioranza degli italiani ieri ha fatto capire che è stufa di tale farsa e non vuole altro che il sipario cali presto su di essa.
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