Vedere la pietosa scena di un Carlo III, figlio della non compianta regina Elisabetta, cercare di parlare in italiano, ricordando a tratti il duo comico di Stallio e Ollio, di fronte alla sottomessa aula di Montecitorio suscita alcune riflessioni d’obbligo.
Sì, è vero, la disgraziatissima classe politica dei tempi attuali è quanto di più rivoltante si sia mai visto in Italia, ma ci si deve chiedere soprattutto come si è arrivati a questo punto.
Come si è giunti ad un punto simile di decadenza e di una classe politica ridotta allo zerbino di questo o quello straniero, semplicemente perché i partiti attuali non sono chiaramente in grado di sopravvivere senza una qualche benedizione dall’estero.
Si disse già nella precedente occasione come i partiti oggi vistisi abbandonati da Washington e dall’impero americano ormai in dismissione abbiano ripiegato sull’iniziale padrone inglese, ma è indubitabile che il servilismo e il tradimento è connaturato nell’infame DNA di queste comparse della politica.
Cassibile ha prodotto tutto questo. Il tradimento che si è consumato sotto quella infame tenda, dove il generale Castellano senza alcuna legittimità consegnava le chiavi della sovranità italiana agli alleati angloamericani, è certamente la causa primigenia, se si vuole, della condizione dell’Italia ridotta a colonia dell’anglosfera e non più a Paese indipendente non solo in grado di scegliere il suo destino, ma di cambiare anche quello altrui.

Il generale Castellano, terzo da sinistra, firma l’armistizio di Cassibile
Cassibile non poteva che portare alla serie successiva di tradimenti e bugie, perché se l’inganno è alla base della nascita di questa repubblica, allora la naturale conseguenza non poteva che essere che quella di vedere tutta una catena di successive menzogne e inganni per perpetrare il sistema politico coloniale nato nel 1943.
Si arriva così al 1946 e al broglio che ha partorito la repubblica nonostante avesse vinto la monarchia, soppressa dalla magistratura e dal “buon” De Gasperi impegnati entrambi ad eseguire le volontà di Washington che voleva tale sistema per consentire meglio di esercitare il suo potere.
La successiva catena degli eventi della storia d’Italia non è altro che la diretta conseguenza di questa condizione di sottomissione all’anglosfera, e la famigerata strategia della tensione è il prodotto di quel potere atlantico che voleva fare di tutto pur di tenere Roma nel suo recinto.
C’era certamente una condizione di sovranità limitata, ma ciò nonostante la classe politica del secolo scorso fu in grado di fare un piccolo miracolo.
Dalle macerie della seconda guerra mondiale, seppe salvare l’IRI di fascista memoria e grazie ad essa, e alla indispensabile sovranità monetaria, portò un Paese uscito distrutto dal conflitto, a diventare la quarta potenza industriale al mondo.
La sovranità limitata dell’Italia e il miracolo del dopoguerra
L’Italia era senza dubbio invidiabile, e aveva non solo una delle economie più floride d’Europa, ma una delle classi politiche più preparate e più in contrasto alla NATO di tutta l’Europa Occidentale.
Nessuno infatti aveva osato sfidare gli angloamericani come aveva fatto, ad esempio, Aldo Moro quando nel 1973 negò agli Stati Uniti l’uso della base di Sigonella per sostenere Israele nella guerra dello Yom Kippur, e nessuno nel 1982 come Andreotti, aveva accolto calorosamente il leader dell’OLP, Yasser Arafat, nel Parlamento italiano.

Andreotti assieme ad Arafat
Nessuno, allo stesso modo, come Bettino Craxi aveva mostrato una schiena dritta come poche quando si rifiutò di parlare con Michael Ledeen, l’uomo della CIA e pericoloso sionista neocon, che durante la crisi di Sigonella nel 1985 trattò l’Italia come un Paese di second’ordine.
Il presidente del Consiglio diede non solo a Reagan una lezione di stile e di autonomia politica, ma la diede al mondo intero.
Chi altri nell’Europa Occidentale aveva “osato” sfidare così tanto gli americani? Nessuno, e soltanto questa circostanza dovrebbe tenere a freno la lingua dei famigerati autorazzisti, secondo i quali il servilismo sarebbe insito nella natura dell’Italia, quando questo Paese è stato quello che più di ogni altro ha avuto il coraggio di dire no all’impero americano, di fronte alla tacita sottomissione di tutti gli altri.
Craxi e Andreotti sono il simbolo di una generazione politica smarrita. Sono il simbolo di quella eccellenza politica che l’Italia aveva raggiunto in quegli anni, quando non si faceva il comodo che si voleva a Roma, e non c’erano dei passacarte a palazzo Chigi, ma dei politici veri.
La Prima Repubblica ha saputo produrre tutto questo nonostante le gabelle politiche da pagare all’anglosfera.
Ha saputo produrre dei partiti che avevano uno strettissimo rapporto con il loro territorio, e dei politici che erano davvero espressione delle istanze e dei desideri del popolo.
Era l’epoca delle altissime affluenze alle urne, anche se, proprio Giulio Andreotti, dallo sguardo politico lungimirante, seppe individuare già in tempi non sospetti dei segni di malessere e di allontanamento della politica dal popolo, che, se non curati in tempo, avrebbero potuto portare ad un elevato astensionismo e ad una morte stessa della politica.
La democrazia liberale si regge infatti sul consenso. Essa non è stata fatta per la felicità del popolo, ma per quella appunto delle élite liberali, ma i politici del passato avevano saputo attraverso la loro abilità partorire una piccola eccezione, così da costruire un sistema politico, che a differenza di tutti gli altri in Europa e negli Stati Uniti, aveva una fortissima legittimità territoriale e non rispondeva invece soltanto ai vari padroni d’Oltreoceano come avviene ora.
Non si può e non si vuole negare che non ci fosse il potere delle massonerie e dei vari circoli del globalismo, quali il Bilderberg e il club di Roma, ma nonostante questo quella classe politica riusciva in quel ristretto perimetro a tutelare l’interesse nazionale meglio di ogni altre classe politica europea, e immensamente meglio dei partiti attuali che non sanno nemmeno cosa sia fare gli interessi della propria nazione, perché non sono stati messi lì per quello.
Washington non poteva più tollerare Craxi e Andreotti
Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è stato così concepito proprio perché l’anglosfera e i club che la dominano non potevano più tollerare l’eccezione italiana.
Non potevano più tollerare che nel Belpaese ci fossero dei politici in grado di dire a quella corsa alla cessione della sovranità nazionale alla quale partecipavano gli uomini della quinta colonna quali Amato, Ciampi, Prodi, Napolitano, e Mattarella.
Non si poteva più tollerare l’esistenza di uomini come Craxi e Andreotti che andavano spazzati via ad ogni costo.
Il primo a cadere fu proprio l’ex segretario del PSI che già nel 1992 dimostrava una lucidità senza pari quando intuiva immediatamente che l’Italia era sotto i colpi della speculazione finanziaria anglosionista che voleva comprarsi a prezzo di saldo tutti i gioielli dell’industria pubblica italiana.
L’assalto era stato studiato tempo addietro.
Non fu concepito in un giorno.
Nel corpo della Prima Repubblica erano purtroppo stati impiantanti dei “virus”, questi sì veri, che a poco a poco si diffusero come una metastasi e iniziarono già prima del’92 a smontare la banca centrale italiana, Bankitalia, per poi riemergere con inaudita violenza nell’annus horribilis di Mani Pulite e divorare qualsiasi cosa che incontrassero sul loro cammino.
A distanza di anni da quel golpe, Craxi affida le sue acute riflessioni, uscite postume, in un libro di Andrea Spiri dal titolo “Io parlo e continuerò a parlare”, nel quale il leader socialista esprime con acume tutte le strumentalizzazioni che si sono fatte con la messa all’indice del finanziamento pubblico dei partiti.
Gli organi di stampa allora nelle mani degli Agnelli, di casa al gruppo Bilderberg, e dell’ingegner De Benedetti, uomo di Soros in Italia, avevano tutto l’interesse a demonizzare la politica e il finanziamento pubblico ai partiti, quando questo in realtà era ciò che dava agli italiani la possibilità di avere delle formazioni politiche che non fossero a libro paga di capitalisti privati, ma aiutate dallo Stato, e così certamente più resistenti alle pressioni delle varie lobby finanziarie e bancarie.
A volerlo uccidere a tutti i costi furono, come li definì Costanzo Preve, i ripugnanti radicali che avevano e hanno l’espresso compito di demoralizzare la società attraverso le loro infami campagne a favore dell’aborto e del divorzio, e, al contempo, di trasferire le leve del potere dalle mani dello Stato a quelle dell’oligarchia.
Craxi lo intuì subito e scrisse queste parole al riguardo.
“Certo che, se del finanziamento illegale se ne continua a parlare come del prodotto di un furto, di una ruberia, di una rapina, è evidente che le cifre miliardarie suscitano la più clamorosa delle impressioni.Se il finanziamento illegale non era altro che un furto, è evidente che coloro che lo hanno messo in politica non sono altro che ladri. […] Tutto questo è molto lontano dalla verità, ed è invece profondamente ingiusto. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello del cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.”
La magistratura all’epoca si premurava quindi di lasciare impuniti i veri criminali che stavano saccheggiando l’Italia, mentre l’opinione pubblica veniva aizzata contro delle tangenti che, seppur non eticamente lodevoli, non erano davvero nulla rispetto ai veri furti che l’Italia subiva.
Il Corriere e La Repubblica agitavano la corruzione davanti agli occhi dell’opinione pubblica italiana, come un torero agita il suo straccio rosso davanti ad un toro, ma l’ingenuo popolo finiva invece che prendere a cornate il politico di turno soltanto sé stesso.
Se si volesse citare l’espressione di un film del passato si potrebbe dire che il “popolo è minorenne” e ci si chiede chi avrebbe ancora oggi il coraggio di dire che questa seppur provocatoria affermazione non è vera.
I meccanismi della politica non sono comprensibili a tutti, e i vari oligarchi della stampa lo sapevano molto bene, e per questo manipolavano con i loro giornali il popolo, che soltanto dopo, una volta bevuta l’amara medicina, capì di essere stato raggirato.
Craxi però da egregio professionista della politica lo intuì subito e non era in vendita a differenza di uomini come Napolitano e Ciampi, e per questo dovette subire la più infame campagna stampa che si ricordi in Italia, senza contare che indecenti e sedicenti “economisti” hanno provato ad addossare a lui la responsabilità del debito pubblico italiano, quando a farlo schizzare verso l’alto era stato il duo del gruppo Bilderberg, Ciampi e Andreatta, che d’imperio tolsero al governo la possibilità di controllare la sua banca centrale.
L’antipolitica da quel momento in poi trova terreno fertile perché i vari organi di stampa hanno tutto l’interesse a mettere sotto la lente d’ingrandimento il barbiere di Montecitorio, mentre fuori dalla finestra se ne vanno decine e decine di miliardi di euro per via, ad esempio, dei contributi annuali versati a Bruxelles, o per il famigerato fondo salva-Stati, che in realtà ha salvato soltanto le banche tedesche e francesi.
Non c’era più spazio quindi per un uomo come Bettino Craxi che denunciava tutto questo e che denunciava il culto dei trattati di Maastricht e dei suoi assurdi criteri di deficit che impediscono agli Stati di fare spesa pubblica e di garantire così il funzionamento e la salute di tutta la macchina statale.
La politica andava uccisa del tutto per lasciare posto alle tecnocrazie che dell’antipolitica hanno fatto la loro forza vitale.
L’uscita di scena di Craxi però non era abbastanza per sostituire degli statisti con dei passacarte pronti a tutto.
Occorreva colpire l’altro bersaglio grosso.
La demolizione di Giulio Andreotti
C’era bisogno di togliere dalla scena anche l’uomo che assieme a Craxi governò, ovvero l’ultimo presidente del Consiglio della Prima Repubblica, quel Giulio Andreotti troppo vicino alla Palestina e troppo ostile alla NATO e allo stato di Israele.
A decidere di rivelare l’esistenza di Gladio prima di ogni altro politico europeo, fu proprio lui, Andreotti, che già in quel periodo esprimeva perplessità sulla necessità di mantenere in vita l’esistenza della NATO, poiché almeno la sua ragione formale era venuta meno, visto il crollo, pilotato, dell’URSS.
Mani Pulite non riuscì a trovare nulla però su Andreotti.
Allora si arrivò, se possibile, ad un’infamia ancora più grande come quella del processo per mafia contro il presidente del Consiglio che aveva voluto Falcone nel suo governo, mentre la sinistra comunista e post-comunista gettava palate di fango contro il magistrato siciliano relegandolo nella categoria di “guitto” o “comico televisivo” come fece Sandro Viola su La Repubblica di De Benedetti.
Andreotti viene assolto in primo grado perché i pentiti, silenti per decenni, si contraddicono tra di loro e mentono in più di un’occasione, ma in appello si arriva al ribaltone fino al mistero buffo della Cassazione che decreta che Andreotti sarebbe stato “mafioso” fino al 1980, per poi incontrare la strada della redenzione.
La macchina del fango giudiziaria si copre di ridicolo, ma tutto era lecito pur di assicurarsi che l’ex presidente del Consiglio fosse sottoposto a quella campagna di fango che lo tenesse lontano dalla politica attiva, dove se fosse rientrato avrebbe avuto serie possibilità di guidare un nuovo partito, che a Washington non volevano.
A distanza di 32 anni, si può vedere chiaramente come la magistratura non sia altro che il braccio armato delle massonerie e dei vari potentati internazionali, ma soprattutto si può vedere come il sistema politico uscito dal golpe del’92 sia ormai irrimediabilmente incancrenito.
Dismesso l’impero americano, Londra non è in grado di assicurare alcuna reale protezione per via delle sue stesse debolezze, ma soprattutto appare certo che tutti i fragili equilibri del passato non ci sono più.
Questa crisi politica è strutturale. Riguarda non soltanto la Seconda Repubblica, ma, giunti a questo punto, la stessa repubblica nata nel 1946, dato che questa esisteva perché gli americani lo volevano e perché almeno in quel periodo storico i partiti avevano una indubbia legittimità.
Nel tempo attuale, si è alla fine della protezione di Washington e i partiti attuali sono del tutto delegittimati e sempre più impegnati a parassitare questo Paese pur di preservare la propria rendita di posizione.
L’Italia non tornerà più a Cassibile e andrà con ogni probabilità anche oltre la Costituzione del’48 e la forma di governo repubblicana.
Il passaggio è epocale, ma prima di compierlo sarà bene tenere a mente la lezione del passato.
Sarà bene recuperare la memoria di quegli statisti perduti e spazzati via dall’anglosfera per insegnare ai giovani cosa vuol dire essere politici e cosa vuol dire avere a cuore l’interesse nazionale.
Sarà bene ricordare un po’ meglio Craxi e Andreotti.