di Cesare Sacchetti
Le statistiche economiche della Germania uscite da poco sono alquanto impietose. -0,7% il PIL dell’anno scorso.
La locomotiva tedesca è diventata d’un tratto un lentissimo carrozzone incapace persino di registrare livelli di crescita economica superiori allo zero.
Quello che occorre chiedersi è perché è accaduta questa metamorfosi e perché oggi la Germania, un tempo leader delle economie europee, è oggi il vero malato d’Europa.
La Germania ha sempre avuto una impostazione economica pensata per esportare. In economia, il tipo di strategia adottata dai teutonici è definita nel mondo dell’anglosfera con l’espressione “beggar thy neighbour”, che tradotto in italiano sta a significare “impoverisci il tuo vicino”.
Quando un Paese decide di esportare le sue merci e quando decide che le esportazioni devono essere il motore trainante della sua economia, il Paese in questione farà del tutto per rendere più competitive le sue merci a discapito degli altri.
Ed è stato così sin dal secondo dopoguerra quando la Germania ha fondato la sua economia su un’impostazione fortemente mercantilista, figlia della sua cultura protestante.
Ciò che teneva a freno in passato la Germania dal gonfiare troppo le sue esportazioni era il suo cambio, il noto marco pesante.
La Germania non ha mai potuto raggiungere i livelli desiderati delle sue esportazioni perché la sua moneta aveva un cambio troppo forte rispetto invece ad altre valute, quali, ad esempio, la lira italiana.
La classe politica tedesca ha per questa ragione sempre cercato dei modi per costruire delle unione monetarie e limitare la possibilità per gli altri Paesi di svalutare e rendere meno costose le sue merci.
I lettori un po’ più attempati ricorderanno a questo proposito che negli anni 70 e 80 nacque il famigerato SME, una unione di cambi fissi che si può definire l’antenato dell’euro.
I Paesi che appartenevano allo SME erano sottoposti ad un regime di cambi fissi. Questo sistema prevedeva una banda di flessibilità non superiore al 2,25% per tutti i membri, con l’eccezione di Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo che potevano invece svalutare la propria moneta fino al 6% rispetto alle altre valute europee, fino a quando ancora una volta l’ineffabile Ciampi da governatore di Bankitalia nel 1989 decide di passare alla banda stretta stringendo ancora di più il cappio monetario intorno al collo dell’Italia.
L’élite industriale tedesca voleva soffocare la crescita dell’Italia
Tenere in questa gabbia gli altri Paesi, soprattutto l’Italia, era stato sin dal principio l’obiettivo della Germania mercantilista che aveva bisogno in qualche modo di regole costruite su misure per poter vincere la partita.
Ed è stato effettivamente così soprattutto grazie all’aiuto di una classe dirigente, quella della Prima Repubblica, che portò in dote alla Germania la flessibilità della lira e l’indipendenza di Bankitalia dal Tesoro del 1981 quando Andreatta, ministro del Tesoro, e Ciampi, governatore della banca centrale italiana, attraverso un loro carteggio privato decisero di togliere allo Stato la possibilità di controllare la sua banca centrale.
Fu un “piccolo” golpe economico contro la sovranità dell’Italia e fu purtroppo solamente il primo di una lunga seria proseguita negli infausti anni 90, quando l’Italia venne deindustrializzata attraverso una manovra eversiva attuata da Mario Draghi, allora dirigente del Tesoro, e Giuliano Amato, presidente del Consiglio, che consegnarono alla finanza anglosassone tutto il patrimonio industriale pubblico dell’IRI.
La storia triste dell’Italia negli ultimi decenni è quella di una interminabile serie di tradimenti consumati da personaggi indegni di essere cittadini di questa nazione e che non hanno fatto altro che perorare la causa di interessi sovranazionali piuttosto che quelli del Paese.
I tradimenti però non erano finiti nel famigerato 1992, quando l’Italia uscì dallo SME troppo tardi, sempre grazie al contributo di quei nefasti personaggi di Ciampi e Amato.
Occorreva la gabbia definitiva. Occorreva trascinare l’Italia in una unione monetaria che annientasse del tutto la sua residua capacità di gestire la propria moneta.
Sono gli anni nei quali si lavora attivamente al cantiere dell’euro. Sono gli anni del centrosinistra di Romano Prodi, Massimo D’Alema e, ancora una volta, di Carlo Azeglio Ciampi che si assicurano di dare ai mercantilisti tedeschi tutto ciò che vogliono, e soprattutto la partecipazione dell’Italia nella moneta unica.
La Germania in quegli anni andava piuttosto a rilento. La sua economia non cresceva e l’Italia, libera dal cappio dello SME, aveva di nuovo iniziato a crescere, nonostante il bagno di sangue del 1992 eseguito da Draghi e Amato.
Gli uomini del centrosinistra, assistiti da quelli del centrodestra, preparano così il terreno per la cessione di sovranità monetaria definitiva attraverso l’ingresso nella moneta unica.
Si chiama euro ma non è null’altro che un marco tedesco mascherato.
Quando i Paesi entrano in questa nuova unione monetaria si verifica un meccanismo semplice. Ognuno perde la capacità di creare moneta e ognuno perde la capacità di svalutare.
A fare la differenza in questo caso sono i differenziali dei tassi di inflazione dei singoli Paesi, e non è un segreto che negli anni 2000, l’inflazione tedesca era molto più bassa di quella dell’Italia e della Grecia.
La partita così viene vinta a tavolino con delle regole truccate che abbassano artificialmente il costo delle merci tedesche a discapito di quelle di Paesi come l’Italia che ora si ritrovano persino privi della capacità di poter far fluttuare il proprio cambio per compensare tale gap, visto che tutti condividono l’euro.
Il malato tedesco degli anni 90 viene rinvigorito grazie a questa “cura” e più di qualcuno, ancora affetto dal male dell’autorazzismo, dovrebbe tenere a mente questa storia.
Il “virtuoso” Nord-Europa è quello che ha truccato il gioco per poter vincere la partita e poi è persino arrivato a chiamare PIIGS, ovvero maiali, i Paesi del Sud Europa vittime di quella che è a tutti gli effetti una truffa monetaria.
L’euro spinge verso l’alto le esportazioni tedesche e la Germania macina moltissimo terreno negli anni 2000 fino a quando negli ultimi anni non si è verificato un effetto collaterale.
L’euro ha esaurito la sua spinta propulsiva per la Germania
La politica del “beggar thy neighbour” della quale si diceva poco fa produce un effetto indesiderato. Se impoverisci il tuo concorrente, alla fine questo non sarà più in grado di comprare le merci che tu esporti, e per rendere sostenibile questo meccanismo, quei Paesi devono poter aumentare la spesa pubblica e fare deficit.
Una prospettiva che l’ottusità teutonica non contempla poiché il verbo della Germania è sempre stato quello di tenere in equilibrio i conti e si è prodotto il classico risultato del cane che morde la sua coda.
La Germania che aveva dominato l’economia europea ora si trova a dover far fronte ad un dissanguamento costante delle sue esportazioni con i numeri che sono lì a descrivere lo stato impietoso nel quale versa l’economia del Paese.
Soltanto lo scorso dicembre le esportazioni sono crollate del 5,5% rispetto al mese precedente e il trend negativo non solo non si arresta ma si aggrava.
Si è giunti al punto d’arrivo della storia dell’euro. Questa moneta era stata concepita espressamente per consentire alla Germania di poter avere una posizione dominante sui mercati ma quello che diversi osservatori negli anni passati non hanno colto è che non è il popolo tedesco il principale beneficiario di questo processo, ma l’élite industriale tedesca.
L’euro è una moneta che comprime i salari poiché se non si può svalutare il cambio, tutto il peso della competitività grava sugli stipendi dei lavoratori che sono le prime vittime di questo infernale meccanismo.
Questa regola è valsa anche per la Germania. E’ senz’altro vero che le merci tedesche hanno beneficiato di un cambio svalutato artificialmente, ma al tempo stesso la classe politica tedesca ha agito per abbassare i salari attraverso la precarizzazione del lavoro messa in atto attraverso le riforme Hartz.
In questo gioco, i vincitori, se ci sono, sono pochi e la vittoria è illusoria e temporanea. Adesso si è giunti a quello che soltanto fino a pochi anni era considerato un paradosso.
L’euro non è solo insostenibile per l’Italia ma per la Germania stessa. La moneta unica è diventata una gabbia per tutti poiché essa non consente di fare spesa pubblica a causa delle restrizioni imposte al deficit e per l’impossibilità di svalutare che scarica, come detto prima, tutto il peso della competitività sulle spalle dei salari dei lavoratori.
Sono i titoli di coda di una storia che era destinata a finire e adesso ci si chiede quale sarà l’ultimo atto che chiude questo capitolo della saga.
Il momento storico attuale oltre che a registrare una generale crisi economica dell’UE denota anche una irrilevanza assoluta della stessa Unione che ormai appare desueta e soprattutto svuotata dall’abbandono degli Stati Uniti che hanno messo fine al vecchio blocco Euro-Atlantico.
Sono troppe le situazioni di crisi che investono l’UE e l’euro perché esse possano sopravvivere ancora a lungo.
La moneta unica ormai ha esaurito il ciclo che aveva dato alla Germania la sua crescita industriale mentre l’UE si trova sempre più isolata in un contesto di ritorno agli Stati nazionali.
A questo punto, tutto l’edificio di Bruxelles appare come un enorme e fragile castello di carte dove si deve solo cercare di capire quale sarà il tassello che viene giù per primo provocando il crollo generale.
La Germania attraversa una profonda crisi economica e anche politica, dato che la sua classe politica ormai non è più chiaramente in grado di dare risposte al popolo tedesco, ormai sempre più insofferente per la recessione nella quale è piombato il Paese.
L’Italia, dal canto suo, attraversa la stessa crisi politica poiché anche la sua classe dirigente ormai è superata e ha esaurito il suo scopo che altro non era che quello di mantenere in piedi il precedente status quo.
Questo porta alla conclusione che né l’euro né l’UE sono destinate a sopravvivere e occorre soltanto capire quale sarà la scintilla che farà divampare l’incendio.
L’Italia, come già rilevato in passato, resta il candidato ideale ma vista la crisi tedesca non bisogna a questo punto trascurare nemmeno la Germania.
Quello che appare certo è che la fine di Maastricht e dell’eurocrazia non è più da tempo una questione di se, ma soltanto di quando, e il quando sembra sempre più vicino.
Fonte: https://www.lacrunadellago.net/la-germania-in-recessione-e-la-inevitabile-fine-delleuro/
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