Sul finire della seconda guerra mondiale, tutto in Germania era ridotto in rovine.
Gli alleati vincitori di quella disastrosa guerra dalla quale uomini come Joe Kennedy e il leggendario aviatore Charles Lindbergh avevano messo in guardia, commettevano crimini di guerra alla luce del sole.
A Dresda, ad esempio, nel 1945 c’è stato uno dei più infami stermini del secolo scorso, quando gli angloamericani radevano al suolo un’intera città di civili innocenti che erano le vittime del conflitto, non di certo i responsabili.
Eppure a Washington e a Londra non importava. Occorreva dare dei segnali alle popolazioni coinvolte nel conflitto anche per quello che sarebbe accaduto dopo la guerra.
L’impero americano stava nascendo e non era disposto a scendere a patti con nessuno.
Le stragi di civili erano un segnale per far capire a tutti qual era la vera essenza del potere dell’anglosfera.
Era l’essenza del terrore, del sangue e delle violenze più criminali contro i civili, come si vide pochi mesi dopo il bombardamento di Dresda, a Hiroshima e Nagasaki, le città dell’olocausto nucleare che ha fatto strage di cattolici giapponesi, ma questo è un “particolare” che i vari storici liberali si dimenticano sempre di scrivere nei loro resoconti.
E’ su queste macerie che la storiografia ufficiale ha edificato il racconto della morte di Adolf Hitler.
Il fuhrer aveva visto il sogno di costruire il suo terzo reich e lo spazio vitale a esso annesso ridotto in frantumi.
La verità sulla fine di Hitler
Il 30 aprile 1945 avrebbe quindi deciso di togliersi la vita assieme alla sua storica concubina, Eva Braun, in una maniera alquanto drammatica e teatrale.
I due pur di sfuggire alla cattura dei vincitori si sarebbero avvelenati con il cianuro e i loro corpi sarebbero poi stati distrutti dalle fiamme per impedire che essi potessero ridotti a oggetto di scherno e umiliazione come accaduto soltanto il giorno prima a quelli di Benito Mussolini e della sua amante, Claretta Petacci, uccisi da sanguinari partigiani su ordine con ogni probabilità dell’allora primo ministro inglese, il massone di alto rango, Winston Churchill, che voleva far sparire le prove del carteggio tra lui e l’ex presidente del Consiglio italiano.
Hitler, viene detto, che scelse tale morte per non andare incontro ad una simile sorte e tra le fonti che corroborerebbero tale versione c’è Otto Günsche, un ufficiale delle SS, che sarà il testimone chiave di tutta la versione ufficiale che vuole che il cancelliere tedesco si sia suicidato.
I sovietici allora sembravano aver scelto due strade. Una era quella che effettivamente accreditava la versione di Günsche.

Otto Günsche
L’altra era quella secondo la quale il fuhrer invece non sarebbe affatto andato incontro alla morte, ma sarebbe invece riuscito a scappare con successo in America Latina grazie al decisivo appoggio proprio di coloro che in realtà avrebbero dovuto portarlo a processo, ovvero gli Stati Uniti d’America.
Ad avanzare questa ipotesi era stato già nel 2014 il ricercatore Jerome Corsi che nel sul libro dal titolo “Alla ricerca di Hitler” aveva scritto che Adolf Hitler non sarebbe morto suicida a Berlino nel suo bunker, ma invece di morte naturale molti anni dopo, in Argentina.
Corsi aveva già portato all’epoca delle evidenze alquanto solide.
L’archeologo Nicholas Bellatoni aveva esaminato i frammenti di DNA del cranio di Hitler custoditi dall’archivio di Stato della Federazione Russa, ed era giunto alla conclusione che questi non appartenevano né al cancelliere tedesco, né della sua concubina, Eva Braun, ma ad una donna di 40 anni che non aveva nulla a che fare con i due.
L’Unione Sovietica ha custodito nei suoi archivi storici evidentemente una prova, dai vari storici considerata “regina”, che in realtà era un falso.
La ricerca di Corsi non si era fermata alle evidenze già solide da un punto di vista scientifico.
Aveva preso in esame altri documenti declassificati del dipartimento di Stato americano, ed era giunto alla conclusione che già uomini come il generale Dwight Eisenhower, divenuto presidente poi nel 1953, sapevano che Hitler non era morto suicida ma che era sopravvissuto al disastro nel quale lui aveva trascinato la Germania.
Corsi affermò esplicitamente che a consentire al fuhrer di fuggire in Sudamerica fu una figura come Allen Dulles, capo della CIA sotto la citata amministrazione Eisenhower e per un breve periodo sotto quella del presidente Kennedy, con il quale l’agente segreto ebbe noti e durissimi scontri segreti.
La guerra tra JFK e l’apparato di intelligence di Langley era arrivata al punto tale che il presidente americano era deciso a sciogliere l’agenzia che è diventata il simbolo dello stato profondo americano, di innumerevoli colpi di Stato in giro per il mondo, di omicidi politici e del traffico di droga gestito da un altro uomo della CIA come George H. Bush che durante i suoi anni al servizio per i servizi americani coordinava un vasto traffico di droga dall’Asia verso gli Stati Uniti.
Dulles sul finire della seconda guerra mondiale era operativo nell’OSS, che come detto in altre occasioni, era il precursore della CIA, e che aveva già iniziato all’epoca a gestire tutta una serie di importanti e delicate operazioni.
Tra queste c’era la famigerata operazione Paperclip, concepita dallo stesso Dulles, grazie alla quale tutto l’apparato dirigente della Germania nazista fu trasferito negli Stati Uniti.
Washington era apparentemente così contro il nazismo da volersi però portare dietro tutte quelle menti scientifiche che avevano fatto la fortuna del Terzo Reich hitleriano.
C’erano personaggi del calibro, ad esempio, dello scienziato Werner von Braun che concepì i famosi missili V1 e V2, che all’epoca erano un’avanguardia assoluta nel campo della missilistica.
Dulles dal suo ufficio a Berlino aveva suggerito caldamente di varare tale operazione che ebbe anche il sostegno di quegli ambienti vaticani che ruotavano attorno alla opaca figura dell’allora monsignor Montini, massone e segretario di Stato sotto il pontificato di Pio XII, che fornì il suo appoggio a questa operazione di salvataggio dei nazisti senza ovviamente l’avallo del pontefice che già nei primi anni del suo papato aveva espresso tutta la sua avversione per il nazismo.
Le prove e i documenti di Corsi potevano considerarsi già alquanto validi negli anni passati, ma in questi giorni sta tornando di attualità un documento declassificato già qualche tempo addietro nella prima pubblicazione dei documenti di JFK iniziata nel 2017 su ordine di Trump e proseguita in questi giorni con nuove scoperte sempre su ordine del presidente americano.
I documenti di JFK: Hitler fuggito in Sudamerica
Se a Mosca al tempo di Stalin sapevano molto bene che Adolf Hitler non era morto, anche a Washington ne erano altrettanto consapevoli.
A scriverlo in un documento della CIA redatto il 3 ottobre del 1955 è il capo stazione dell’agenzia di intelligence americana, David Brixnor, che racconta di come un informatore dei servizi americani avesse saputo che il fuhrer del nazismo era vivo e vegeto in Sudamerica.

Il documento della CIA in questione declassificato
Brixnor scrive in questo documento che CIMELODY-3, il nome in codice dell’informatore, era stato contattato da un suo uomo molto fidato sotto il suo comando in Europa, e questo fa pensare che probabilmente tale Cimelody-3 era un militare di alto rango americano distaccato nel vecchio continente durante la seconda guerra mondiale.
L’informatore della CIA viene a sapere dal suo contatto che un ex membro delle SS tedesche di nome Philip Citroen era in contatto proprio con lui, con Adolf Hitler.
Citroen all’epoca era un impiegato della compagnia mercantile Royal Dutch Shipping per la quale era partito da Maracaibo, in Venezuela, alla volta della Colombia, nel villaggio di Tunga.
E’ lì che l’ex membro delle SS avrebbe incontrato l’uomo che affermava essere Adolf Hitler.
Il fuhrer si faceva chiamare Adolf Schrittemayor, e Citroen mostra una sua foto assieme a lui per corroborare la sua sensazionale scoperta.

Philip Citroen assieme all’uomo identificato come Adolf Hitler
Sempre secondo lo stesso Citroen, nei mesi successivi, Hitler nel gennaio del 1955 si sarebbe diretto verso l’Argentina, verso la quale però sarebbe già giunto almeno dieci anni prima.
A rivelarlo è un altro documento declassificato, seppur alcuni nomi sono oscurati, che era stato preparato stavolta da un’altra agenzia americana, l’FBI, a conferma che il governo americano era molto ben informato sulle reali sorti di Hitler.
A scriverlo è stato l’ufficio dell’FBI di Los Angeles che il 21 settembre del 1945, 5 mesi dopo il presunto suicidio a Berlino, afferma che Adolf Hitler sarebbe giunto in Argentina con un sottomarino grazie all’aiuto di sei importanti ufficiali governativi del posto che lo avrebbero poi portato in un rifugio segreto sulle Ande, verso il quale Hitler sarebbe presumibilmente tornato dalla Colombia come riferisce Citroen nell’altra informativa scritta 10 anni dopo dalla CIA.
A Washington evidentemente sapevano molto bene che il nazista più ricercato al mondo non si era tolto la vita, ma era chiaro che Hitler non avrebbe potuto mettersi in salvo senza l’aiuto di potenti ambienti dei servizi americani che volevano che l’ex cancelliere tedesco non venisse catturato.
E’ una pagina di storia questa non raccontata dai soliti storici liberali, perché se lo fosse, si correrebbe il rischio di capire che il nazismo è stato un fenomeno tutt’altro che spontaneo e allattato da quegli stessi ambienti che ancora oggi lo condannano e lo utilizzano come spauracchio per affermare il suprematismo dello stato ebraico.
Il mistero sull’ascesa improvvisa di Adolf Hitler
La vera domanda alla quale bisognerebbe dare una risposta più di ogni altra è quella su chi era veramente Adolf Hitler, e qual è stata la genesi di questo personaggio che forse più di ogni altro ha cambiato la storia del’900.
Senza Adolf Hitler non ci sarebbe stata una seconda guerra mondiale, e senza Adolf Hitler non ci sarebbe stato nemmeno lo stato di Israele come riconoscono pacificamente molti storici israeliani.
L’Haavara, ovvero gli accordi per il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina assieme ai macchinari che la Germania nazista ha portato in dote ai coloni sionisti sono stati semplicemente decisivi per la futura nascita dello stato di Israele.
Secondo le stime dello storico ebreo Edwin Black, grazie a questo trattato Hitler ha reso possibile l’afflusso nella terra palestinese di almeno 70 milioni di dollari tramite diversi e numerosi trasferimenti bancari.
E’ stato uno dei primi atti fatti dal fuhrer una volta divenuto cancelliere nel gennaio del 1933.
Soltanto pochi mesi dopo, a maggio, i nazisti già si incontravano con gli esponenti del movimento sionista tedesco e raggiungevano senza alcuna difficoltà un accordo cruciale per consentire la nascita dello stato ebraico.
Alcuni anni prima, nel 1923, il presidente dell’organizzazione sionista mondiale, Chaim Weizmann, aveva provato a persuadere anche Mussolini che il sostegno al piano del sionismo di costruire uno stato ebraico in Palestina sarebbe stata cosa buona e giusta, ma il duce oppose un fermo rifiuto all’idea, e manifestò sempre un certo scetticismo nei riguardi di tale “visione” perché aveva già intuito all’epoca che Israele avrebbe separato definitivamente gli ebrei dal Paese nel quale vivevano da secoli, e la loro lealtà sarebbe andata definitivamente allo stato ebraico e non all’Italia.
Si possono vedere anche su tale questione le differenze che separano fascismo e nazismo, che invece con il sionismo ha sempre avuto uno strettissimo rapporto di collaborazione e un’affinità ideologica letteralmente taciuta da tutti i vari giornalisti e storici perché chiaramente motivo di imbarazzo per la vulgata ufficiale che cerca di raffigurare il nazismo come un nemico del sionismo, e viceversa.
Le origini oscure di Hitler
Il passato di Hitler però appare la chiave di volta per comprendere davvero da dove nasce questa sua amicizia verso la causa sionista, una contraddizione apparentemente incomprensibile se non si comprende appunto meglio da dove è emersa questa figura.
Gli anni del suo soggiorno a Vienna, ad esempio, sono tra i più interessanti e misteriosi.
Hitler parte alla volta della capitale viennese nel 1908, l’anno dopo la morte di sua madre.
A Vienna, com’è noto, il giovane si dà alla attività di pittore di acquerelli, anche se difficilmente si può pensare che soltanto questa sua passione fosse sufficiente per sbarcare il lunario.
Sempre in questo periodo prova ad iscriversi all’accademia delle Belle Arti di Vienna e alla scuola di architettura venendo rifiutato da entrambe, ma intanto il giovane Adolf passa le sue giornate nel posto più impensabile per un uomo descritto dai vari storici come il più grande “antisemita” del secolo scorso, ovvero una pensione ebraica.
Il periodo viennese di Hitler è stato raccontato da un suo amico ebreo di quel periodo, Reinhold Hanisch, altro aspirante pittore che scrisse la sua esperienza con Hitler in un libro uscito dopo la sua morte, nel 1939, dal titolo “Ero l’amico di Hitler”.

Reinhold Hanisch, l’amico ebreo di Hitler
Hanisch racconta che il giovane Hitler non nutriva nessun odio o disprezzo nei confronti degli ebrei, al contrario l’aspirante pittore era con questi che amava passare il suo tempo ed era sempre con questi che concludeva i suoi affari.
L’uomo che scrisse il Mein Kampf e che suppostamente sarebbe stato contro la finanza ebraica aveva, secondo Hanisch, una ammirazione per la famiglia Rothschild che così tante guerre e miseria aveva portato in tutta Europa.
Hitler nella sua gioventù tutto sembra tranne che un acerrimo nemico dell’ebraismo, ma il racconto di Hanisch si fa ancora più interessante quando rivela che il pittore di Linz gli chiese di accompagnarlo a trovare i suoi nonni ebrei che vivevano nella capitale viennese.
Dunque il fuhrer del nazismo era ebreo come ha affermato recentemente il ministro degli Esteri Lavrov?
Se si legge il rapporto dell’OSS pubblicato dal giornalista e storico Walter Lange nel suo libro “The Secret Wartime Report”, tutto sembra suggerire questa ipotesi.
A condurre per prime un’inchiesta sulle origini di Adolf Hitler sono state apparentemente le autorità austriache ai tempi del cancelliere Dolfuss nel 1934.
Dolfuss e il suo gruppo investigativo avevano scoperto che la nonna di Hitler, tale Maria Schicklgruber, aveva avuto una relazione clandestina con il barone Rothschild, nel cui palazzo svolgeva le mansioni di donna di servizio.
Maria resta incinta nel 1837 e i Rothschild la mandano a stare presso la sua città natale di Strones, dove resterà per larga parte della gravidanza.
Una volta fatto ritorno da Strones, nasce Alois, ma la madre non dichiara però alle autorità chi è il padre del bambino.
La famiglia Rothschild sembra però saperlo molto bene. Pagano gli alimenti a Maria dal 1837 al 1851, e in seguito la ex donna di servizio del barone Rothschild si sposa con Johann George Hiedler, ma il nome per un errore amministrativo verrà trascritto come “Hitler” e il piccolo Alois nato dalla relazione clandestina prenderà così il cognome del marito della madre e che verrà poi passato ad Adolf Hitler.

Alois Hitler, il figlio della probabile relazione clandestina tra sua madre e il barone Rothschild
Il fuhrer sembra che fosse informato delle scoperte fatte da Dolfuss e ordina il suo assassinio nel 1934.
Non tocca sorte migliore al vecchio amico di Adolf, Hanisch, che viene arrestato su ordine esplicito del cancelliere il 2 dicembre del 1936 per poi morire il 4 febbraio del 1937 in carcere in circostanze mai chiarite.
Hitler si è premurato dopo la morte del suo amico ai tempi del soggiorno viennese, di distruggere la casa del padre di Hanisch, nel probabile tentativo di cancellare qualsiasi prova che dimostrasse che le origini del fuhrer non erano affatto “ariane” come voleva far credere, ma di tutt’altro stampo, quelle che suppostamente il nazismo odiava, ovvero ebraiche.
Il sostegno finanziario di Wall Street al nazismo
Se la vera storia di Adolf Hitler è quella contenuta in questi documenti, allora si comprende meglio perché il nazismo sia stato fortemente sostenuto dall’establishment della finanza askenazita e dalle varie compagnie angloamericane.
L’economista e docente americano Anthony C. Sutton nella sua opera “Wall Street e l’ascesa di Hitler” documenta come l’ascesa finanziaria del partito nazional-socialista sia stata possibile soltanto grazie agli ingenti prestiti fatti a favore della celebre IG Farben negli anni’20 e della DAPAG, le compagnie che a loro volta versarono ingenti finanziamenti ai nazisti.
L’afflusso di finanziamenti verso Hitler era soltanto al principio.
Il ricercatore tedesco Gerhard Muller nella sua opera intitolata “Dietro la scena degli eventi mondiali” riporta come a far affluire ingenti capitali verso il partito nazista sia stata la famiglia di origine ebraica dei Warburg, tra i fondatori della FED e già finanziatori della rivoluzione bolscevica nel 1917.
A rivelare per primo come Hitler stesse prendendo soldi dalla finanza ebraica è stato l’autore dell’opera “I finanziatori segreti di Hitler” firmata sotto lo pseudonimo di Sidney Warburg, dietro il quale si nascondeva l’identità di James Warburg, figlio del famigerato Paul.
Il libro venne stampato dalla nota casa editrice olandese Van Holkema & Warendorf, raggiunse gli scaffali delle librerie olandesi nel 1933, ma diverse misteriose “mani” iniziarono a far sparire tutte le copie dello scottante contenuto dello scritto.
Nel libro si rivelava che Hitler aveva avuto almeno cinque incontri tra il 1929 e il 1933 con un rappresentante della famiglia Warburg che aveva dato in prestito al fuhrer la astronomica somma di 25 milioni di dollari.
A decidere che questi capitali dovessero andare ai nazisti in Germania erano stati la famiglia Rockefeller, JP Morgan e gli altri signori della Federal Reserve Bank americana.
Tra le fonti di finanziamento dei nazisti c’era anche la banca olandese von Heydt Bank, e questo fatto è confermato anche da documenti ufficiali del governo tedesco rilasciati nel 1982.
Il libro di Sidney Warburg lo aveva scritto con 50 anni di anticipo e questo dimostra che soltanto una fonte molto privilegiata poteva avere accesso a tali informazioni.
Nemmeno negli anni successivi però i grandi poteri della finanza internazionale mancarono di far avere il loro sostegno al nazismo.
Le citate famiglie dei Rockefeller e dei Warburg hanno fatto in modo di mantenere delle linee di credito aperte al colosso della chimica IG Farben, del quale si diceva sopra, anche durante la seconda guerra mondiale.
Si stima che almeno 30 milioni di dollari siano arrivati tramite un accordo tra la Rockefeller Standard Oil e la IG Farben, che era la società che sfruttava il lavoro degli schiavi deportati ad Auschwitz.
La famiglia Rockefeller era da tali schiavi che ricavava i suoi profitti, ma i famigerati finanzieri di New York avevano anche uno stretto interesse a far sì che la Germania nazista ricevesse il petrolio di cui aveva bisogno soprattutto dopo l’inizio della seconda guerra mondiale.
In qualsiasi momento, i signori di queste multinazionali avrebbero potuto togliere a Hitler le risorse necessarie per proseguire la guerra e invece hanno continuato a dargliele, segno evidente che si voleva che il nazismo portasse la Germania laddove questi finanzieri volevano che il fuhrer la portasse, ovvero verso la sua rovina morale ed economica.
Una volta che il cancelliere del Terzo Reich aveva finito il suo “lavoro”, come aveva rivelato Corsi già anni prima, a garantire la sua fuga all’estero fu proprio l’OSS di Allen Dulles che concepì quella storia di copertura dei suicidi di Hitler e Eva Braun, rivelatasi poi, anche di fronte alle evidenze scientifiche, falsa.
Il nazismo quindi utilizzato come spauracchio dall’élite liberale e dal mondo della finanza askenazita per stabilire la dittatura di una corrotta oligarchia di plutocrati è un fenomeno partorito da questa stessa élite.
I documenti al riguardo sono molto chiari. Si spera che un domani tale storia possa finalmente essere letta e studiata sui libri di storia.
La verità è ciò che più atterrisce il potere del mondialismo e della massoneria internazionale.