Domenica 14 novembre, piazza Eleonora D’Arborea, Oristano, ore 13.
Un cavo elettrico viene calato da una delle finestre della Residenza d’Epoca Regina d’Arborea e collegato ad un amplificatore e una cassa su un lato della piazza.
Di fronte alla statua di Eleonora si montano un paio di gazebo per ripararsi da una pioggia che, solo temporaneamente, sembra aver concesso una breve tregua dopo che, da settimane, cade senza soluzione di continuità.
Sotto, accanto e in prossimità della statua ci sono solo donne: donne che fanno la prova microfono, donne che parlano con le forze dell’ordine, donne che adesso smontano i gazebo, donne sedute a mangiare un panino sulla scalinata del Comune, donne che arrivano con i loro zaini in spalla, donne che issano una bandiera, donne che dispongono in terra un braciere pieno di lumini non ancora accesi, donne che scattano foto, si salutano, si sorridono, parlano, si abbracciano, ridono.
Esce il Sole.
Eleonora dall’alto con il suo indice alzato lo indica a tutte: è tornato a splendere il Sole.
Si comincia.
Le donne si dispongono in tre cerchi circoncentrici attorno al braciere. Una di loro comincia a parlare.
Dice di sè, del suo desiderio di averci volute qui con lei oggi, le trema la voce, qualche lacrima comincia a rigare non solo il suo volto, un’unica emozione serpeggia tra cuore e cuore.
Si leggono quattro poesie con il microfono che passa di mano in mano.
Si intona un mantra tutte insieme e la piazza risuona fino al Sole.
Poi comincia la festa.
Ognuna esprime se stessa attraverso la parola, il silenzio, un canto, una preghiera e tutte ascoltano.
C’è chi dice che non è la prima volta che siamo sedute in cerchio accanto ad un braciere; più d’una le fa eco affermando di averci viste tutte già prima, già conosciute.
C’è chi esprime paura, chi coraggio, chi dolore, chi gioia, chi manifesta debolezza, chi forza, chi si duole, chi rincuora, chi veste di nero, chi è tutta colorata, chi ha i capelli rasati, chi lunghi e ben curati, chi tutti aggrovigliati, chi con una figlia, chi sola, chi con un’amica, chi con un cane, chi con un tamburo e perfino chi è in compagnia di un compagno, o un amico, che resta rispettosamente a distanza partecipando silenziosamente da lontano.
Questo è il mondo che vogliamo.
Poi il tamburo guida il tempo della danza dei cerchi che ruotano in senso contrario ma verso un’unica direzione: il centro di noi stesse e l’unione con le altre.
Sensi opposti ma unica direzione, appunto, come la danza.
Queste donne però accelerano il passo, e tenendosi per mano iniziano a correre in cerchio, e a lanciare urla come delle squaw.
Colpi di tamburo, piedi che battono a terra, mani intrecciate, grida di eccitazione, candele accese, è un sabba a cielo aperto, nella pubblica piazza, protette da Eleonora. Ed intanto sorge anche la Luna.
Sì, è questo il mondo che vogliamo.
Salima Balzerani
Guerriere di Sardegna
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