Il secondo costruttore di auto al mondo, Volkswagen, inizia a pagare il salatissimo conto per aver fatto un all-in sull’elettrico: 15 mila licenziamenti e 2-3 stabilimenti da chiudere
Improvvisamente l’entusiasmo per le auto elettriche è svanito.
In modo molto repentino anche quello che doveva essere il futuro della mobilità, si è polverizzato, smaterializzato.
Adesso restano solo le macerie di decisioni criminali prese a Bruxelles, su diktat del WEF, che devono pagare i lavoratori e le loro famiglie.
Ai manager VW: non è vero che non esiste il piano B.
Il piano B sono i motori endotermici, la salvaguardia dei posti di lavoro ed il salvataggio, almeno parziale, dell’economia tedesca.
Art. corriere.it
Lo avrebbero detto i vertici del gruppo agli analisti della banca statunitense Jefferies che hanno incontrato i vertici del gruppo tedesco. Sul tavolo anche la chiusura di due-tre fabbriche in Germania
Volkswagen sta valutando il licenziamento di 15 mila dipendenti, oltre il 2% dell’organico globale, e la chiusura di due o tre stabilimenti in Germania, una prima volta nella storia del gruppo fondato nel 1937. Lo riferiscono gli analisti della banca d’affari statunitense Jefferies che nei giorni scorsi hanno incontrato i vertici del colosso tedesco.
Il piano di tagli
I tagli nel personale e la prima chiusura di una fabbrica tedesca dalla fondazione di Volkswagen nel 1937 potrebbero essere annunciati prima della fine dell’anno. Il progetto ridurrebbe di 500-750 mila vetture la capacità produttiva di Volkswagen in Europa e comporterebbe per il gruppo una spesa straordinaria di 3-4 miliardi di euro, associata ai costi di dismissione delle fabbriche e a quelli per gli esuberi. Secondo Jefferies, i vertici sono però convinti che «non vi sia un piano B» per affrontare la crisi del mercato dell’auto europeo e, quindi, sono pronti ad andare allo scontro con i potenti sindacati tedeschi.
La procedura
I vertici di Volkswagen ritengono del resto che i sindacati non abbiano legalmente il diritto di scioperare contro la chiusura di stabilimenti e che quindi dovranno sedersi al tavolo per discutere modalità, tempi e quantità degli esuberi. E sono anche convinti che la decisione non debba passare per l’autorizzazione del consiglio di sorveglianza, dove siedono i rappresentanti dei lavoratori.
Le proteste dei sindacati
Il maxi-piano di licenziamenti rischia comunque di sollevare un’ondata di proteste in Germania e di mettere l’amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume, in una posizione scomoda. I sindacati hanno già puntato il dito contro la gestione del gruppo che negli ultimi anni ha investito molto su software ed elettrico con risultati sinora molto deludenti. Hanno poi ricordato che nell’ultimo anno l’azienda ha pagato ai suoi azionisti dividendi per 4,5 miliardi di euro.
La reazione politica
Il governo tedesco non ha poi mancato di farsi sentire. Il cancelliere Olaf Scholz ha detto che la priorità è «garantire i posti di lavoro e gli stabilimenti», mentre il primo ministro della Bassa Sassonia, Stephan Weil – azionista al 20% di Volkswagen, ha avvertito: «ci aspettiamo che la questione della chiusura delle sedi semplicemente non si ponga attraverso l’uso efficace di alternative». Chissà che, alla fine, non siano le autorità pubbliche a fornire a Volkswagen un piano B.
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