CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO
Se non vedi più il video, perchè lo hanno censurato, solitamente i video a rischio censura li salviamo, prova a richiedicelo sulla pagina CONTATTI
Testo riportato dal profilo FB dei querelanti
Il modello da scaricare se si condivide l’iniziativa: https://docs.google.com/…/1h…/mobilebasic
Sulla querela nei confronti di Sergio Mattarella, noto Presidente della Repubblica, sull’art. 90 Cost., sulla possibilità di querelare il Presidente e sulla necessità di assumere uno spirito critico verso la situazione attuale: invito a una azione pacifica e civile presso tutte le procure italiane. Riportiamo una volta ancora le parole pronunciate da Sergio Mattarella: «Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, perché quella invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui. Chi pretende di non vaccinarsi – naturalmente con l’eccezione di coloro che non possono farlo per motivi di salute – e comunque di svolgere una vita normale, frequentando luoghi di lavoro, di intrattenimento, di svago, in realtà costringe tutti gli altri a limitare la propria libertà, a rinunziare a prospettive di normalità di vita, […] alla possibilità di recuperare in pieno luoghi, modi, tempi di vita».
In considerazione delle suddette parole, mio fratello Marco Zuccaro ed io abbiamo presentato formale querela per mezzo della quale richiediamo all’autorità giudiziaria di verificare, con l’ausilio della Corte costituzionale, se l’intervento di Sergio Mattarella rientri o meno nell’esercizio delle sue funzioni di Presidente della Repubblica, sì da stabilire se egli sia perseguibile per reati comuni per le sue dichiarazioni (senza dimenticare i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione di cui all’art. 90 con riferimento agli atti compiuti in esercizio delle funzioni presidenziali). Inoltre, nel testo della querela si è richiesta la verifica della violazione degli artt. 3 e 87 comma 1 della Costituzione, mentre mio fratello ha voluto prendere in considerazione anche altri rilievi.
Più in generale, l’intervento di Mattarella è sembrato complessivamente irrispettoso dello spirito della Carta costituzionale. La prima obiezione che solitamente ci viene mossa, quando si vuole entrare nel merito della questione (il che è raro, di questi tempi), è la seguente: l’art. 90 Cost. non permetterebbe di agire nei confronti del Presidente. Ebbene, la questione è invero più complessa di quanto si possa immaginare a una prima lettura superficiale. I profili della nostra querela sono sostanzialmente due: il primo riguarda gli aspetti strettamente giuridici, mentre il secondo concerne la ricaduta sociale e politica di una azione simbolica. Il primo dei due profili pone l’atto come un gesto in difesa delle istituzioni e delle cariche istituzionali, richiedendo alla Consulta – a tutela di ogni futuro Presidente nonché dello stesso Sergio Mattarella – di chiarire i limiti “dell’esercizio delle funzioni”.
Speriamo che tale questione possa già di per sé stessa risultare quantomeno stimolante. L’art. 90 Cost. definisce la responsabilità generale della persona che ricopre la carica di Presidente e stabilisce con chiarezza l’irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni, fatta eccezione per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Questo è l’assunto, questo è il dettato. Si tratta dunque di capire ciò che rientra nelle funzioni e ciò che in esse non rientra (ed è pertanto extra-funzione). Non solo: è noto che la dottrina, nel rilevare l’enlargement of functions al quale assistiamo da diversi anni, tende a distinguere gli atti presidenziali in due ulteriori tipologie, secondo la natura formale ovvero informale degli atti medesimi.
Si tratta di una interpretazione certamente garantista, incline a ricondurre sotto la definizione di “funzionale” (e, pertanto, propensa a giustificare) anche quegli atti che, non essendo affatto previsti esplicitamente dalla Costituzione, dovrebbero essere considerati senz’altro informali. Insomma, non scopriamo certamente adesso che anche la dottrina può tendere a spiegazioni autoreferenziali se non proprio tautologiche. Ora, il punto è questo: se, per un lato, un approccio del genere risulta garantista per l’autorità governante, per l’altro lato esso finisce inevitabilmente per sacrificare l’autorità sovrana, ovverosia il popolo italiano. Crediamo che quest’ultima considerazione non sia di poco conto, perché il diritto costituzionale – al pari del diritto amministrativo – abbisogna che ruoli, funzioni, garanzie e poteri vengano definiti secondo il principio di legalità, ovvero in modo tipizzato e puntuale, così da scongiurare sul nascere ogni inutile sacrificio in capo alla popolazione nonché ogni possibile abuso da parte dell’autorità.
Dunque ci domandiamo e domandiamo a tutti i giuristi in ascolto: come possono sciogliersi i nodi teorici di una questione complessa, se quando la si esamina non si fa altro che eludere il cuore della stessa, tendendo a risolvere le problematiche che essa pone adducendo in ogni caso, come pronta soluzione, la prassi presidenziale e ciò che viene messo in atto dalla figura presidenziale? Quand’anche tutta la dottrina si accomodasse su tale tipo di approccio, la zona d’ombra permarrebbe, e con essa la necessità di indagare più seriamente su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato, ovvero su ciò che rispetta il dettato costituzionale e su ciò che, invece, non lo rispetta. Riteniamo pertanto che porre domande sia sempre nell’interesse della Repubblica italiana. Proseguiamo, e chiediamoci adesso: l’art. 90 della Costituzione configura una perseguibilità del Presidente della Repubblica nel caso di atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni?
È interessante notare che il 24 ottobre 1947, in sede di Assemblea Costituente, venne discusso e respinto un emendamento volto a sancire l’improcedibilità per reati comuni nei confronti del Presidente – o meglio, della persona che ne riveste la carica. La proposta prevedeva l’equiparazione tra le immunità dei parlamentari e quella del Presidente, così determinando un accrescimento delle tutele per il Capo dello Stato; eppure, «un’assimilazione completa del Presidente della Repubblica con i deputati, estendendo al primo le identiche immunità previste per i secondi, non è sembrata adeguata alla figura e alla posizione del Presidente»: ovvero, ai nostri Padri costituenti non parve opportuno stabilire una norma costituzionale ben precisa relativamente alla responsabilità penale del Presidente per fatti che non si ricolleghino né direttamente né indirettamente all’esercizio delle sue funzioni; né parve loro opportuno introdurre in Costituzione una norma che consentisse, a fronte di reati comuni e in favore del Presidente, una sospensione completa del procedimento penale – tale soluzione è sembrata eccessiva. V. Tosato. P. 1512, atti assemblea costituente 24 ottobre 1947.
Dovete dunque perdonarci se solleviamo il quesito così come segue: se l’Assemblea Costituente esaminò la possibilità di introdurre in Costituzione una norma ulteriormente “garantista” nei confronti del Presidente, e se tale proposta fu infine respinta, allora non deve forse concludersi che il Presidente, anzi la persona che ne ricopre la carica, sia a tutti gli effetti perseguibile – per reati comuni – per gli atti compiuti al di fuori delle sue funzioni? Lo affermò piuttosto chiaramente anche l’On. Tosato, sicché non sembrano esservi dubbi sul punto in esame, che comunque andremo ad approfondire di seguito.Accennavamo poc’anzi ai cosiddetti atti informali, i quali si rivelano problematici poiché potrebbero essere interpretati – sempre, o quasi sempre – come manifestazioni “della funzione di moderatore” propria del Presidente della Repubblica (pertanto, stando a questa impostazione, essi rientrerebbero sicuramente nel novero degli atti funzionali protetti dall’immunità così come definita ex art. 90 Cost.).
Tuttavia, la considerazione testé compiuta non risponde all’insostenibilità della posizione assunta da chiunque voglia sostenere che tutti gli atti informali costituiscano esercizio di funzioni; perché se si sposasse tale assunto, se ne ricaverebbe automaticamente uno svuotamento di significato del rigetto compiuto in sede di Assemblea Costituente circa la questione qui trattata. In breve: non si può dire, a un tempo solo, che i Costituenti abbiano voluto escludere una irresponsabilità generale del Presidente e che il Presidente non possa essere perseguito per alcuno dei suoi atti informali. Le due tesi sono in contrasto tra loro, sicché dovrà capirsi come procedere in conformità della Costituzione. La dottrina più accorta, ben consapevole della delicatezza dell’argomento, ha sempre invitato ogni Presidente a fare largo uso degli strumenti che gli sono propri, ovvero degli atti formali delineati dalla Carta costituzionale; valga, a titolo di esempio, il messaggio formale normato dal comma 2 dell’articolo 87, sul quale si riporta la seguente citazione di Temistocle Martines: «Innanzi tutto, egli deve evitare di ricorrere a forme di esternazione diverse dal messaggio quando potrebbe, invece, fare uso proprio di tale strumento».
Or dunque, se in dottrina è largamente diffuso il pensiero secondo il quale il privato cittadino resterebbe penalmente responsabile per gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni presidenziali, si tratta allora di confrontarsi sulla procedibilità effettiva in merito al reato contestato: secondo taluni Autori, il Capo dello Stato sarebbe perseguibile «soltanto alla scadenza dall’ufficio e sempre che non siano decorsi i termini di prescrizione – affidata al Presidente la possibilità di presentare dimissioni» (così di nuovo Temistocle Martines, in Diritto Costituzionale, Milano, Giuffrè Editore, 2007, pagina 292). Abbiamo menzionato non a caso uno dei manuali maggiormente utilizzati nelle facoltà di Giurisprudenza, e ci pare che la posizione del Professor Martines suffraghi senz’altro la tesi della perseguibilità della persona che riveste la carica di Presidente. Acquisito questo dato, si presenta subito un ulteriore problema: quello legato alla non procedibilità a carico del Presidente fintantoché egli riveste la sua carica.
Se vogliamo, questa problematica, di per sé stessa, rappresenta una delle ragioni dissuasive dell’opportunità di rielezione. Citiamo adesso un altro Autore. In merito all’apertura alla responsabilità diffusa per il compimento degli atti extra-funzionali, nonché all’illogicità intrinseca di una siffatta apertura in assenza di effettive conseguenze, Paladin. L., Presidente della Repubblica, Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuffrè, 1986, XXXV, p. 242, ritiene tale responsabilità diffusa «uno strumento estremamente rozzo e inadeguato, che in sostanza si risolve in una responsabilità di mero fatto». Questa posizione sembra senz’altro da rigettare, in quanto in sede di Assemblea Costituente, come si è già accennato, si era senz’altro accolta la tesi che apriva alla responsabilità presidenziale; semmai, si discuteva sul da farsi secondo la gravità delle violazioni contestate: sicché alcuni propendevano per la trascurabilità delle violazioni lievi e per l’opportunità di dimissioni in caso di violazioni gravi.
Alla luce di tutto ciò, la convinzione circa l’esistenza di una responsabilità penale vera e propria in capo al Presidente (per gli atti extra-funzionali) ne esce rafforzata. Sovente si richiama il comma 1 dell’art. 87 Cost. per giustificare l’enlargement of functions di cui abbiamo già accennato. Senonché, il punto di osservazione può essere anche rovesciato. Difatti, se combiniamo il disposto degli artt. 87 comma 1 e 90 Cost., ricaviamo una perseguibilità del Presidente non soltanto per le classiche ipotesi-limite dell’alto tradimento e dell’attentato alla Costituzione, ma anche per le fattispecie che configurano, come bene protetto, la custodia dell’unità nazionale. Di conseguenza, i comportamenti presidenziali rilevanti sotto il profilo della responsabilità giuridica sarebbero tutti quelli che mettono a repentaglio, per l’appunto, l’unità nazionale.
Citiamo A. Morrone, da Il Presidente della Repubblica in trasformazione: «Il fine dell’unità nazionale costituisce la fonte di legittimazione della posizione costituzionale e dei poteri del Presidente, ma anche l’unità di misura della legittimità delle sue azioni e dichiarazioni. Sviluppando questo punto, è proprio in vista della salvaguardia dell’unità nazionale che va declinato il tema della responsabilità presidenziale. Innanzitutto: interpretando l’art. 90 al cospetto dell’obiettivo di unità nazionale, nel senso di leggere nella previsione dei “reati presidenziali” non ipotesi limite di difficile concretizzazione, ma altrettante fattispecie nelle quali il bene protetto è proprio la custodia dell’unità nazionale, e i comportamenti rilevanti tutti quelli che (straordinariamente o ordinariamente) la mettono a repentaglio».
Prendendo spunto dal testo del Professor Morrone si comprende perfettamente che l’inserimento, all’interno della nostra querela, della violazione dell’art. 87 comma 1 Cost. sia stato tutt’altro che causale, giacché abbiamo ritenuto doveroso contestare che l’intervento di Sergio Mattarella potesse essere assimilato alla rappresentazione dell’unità nazionale, avendo egli rilasciato dichiarazioni fortemente offensive nei riguardi di milioni di italiani che hanno compiuto e compiono ancora una scelta del tutto legittima, ovvero una scelta tutelata dall’ordinamento giuridico. A sostegno della nostra interpretazione dell’art. 90 Cost. è possibile menzionare altri autori che, con il loro contributo, suggeriscono la necessità di rammentare sempre che il disposto di un articolo costituzionale non possa né debba essere mai estrapolato strumentalmente, ma vada sapientemente armonizzato per mezzo di una lettura integrale della Carta.
Ricordiamo, pertanto: la Costituzione sposa il principio repubblicano e rigetta quello monarchico, mentre richiede a tutti i cittadini italiani l’aderenza ai suoi principi fondamentali. Tale considerazione ci consente di ritornare sulla responsabilità presidenziale ex art. 90 Cost. con nuovo piglio, rimarcando detto articolo non tanto «per la parte che esclude la responsabilità (giuridica) del Presidente della Repubblica nell’esercizio delle funzioni, quanto per quella che l’afferma, nei casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione, e la presuppone, sempre, al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni». Per tale ultimo rilievo, la responsabilità presidenziale risulta comparabile con quella di ogni altro privato cittadino. Inoltre, stante la necessità che ogni potere pubblico di uno Stato di diritto costituzionale trovi sempre, senza eccezione alcuna, il suo fondamento e i suoi limiti in norme giuridiche positive, è fondamentale sottolineare che «il principio repubblicano suggerisce che il Presidente della Repubblica sia soggetto alla regola generale della responsabilità per le sue azioni, che trova però particolare disciplina quanto alla responsabilità giuridico-costituzionale, nell’art. 90».
Il privilegio di cui all’articolo 90 Cost., dunque, non può che avere carattere eccezionale, e perciò dev’essere interpretato in senso restrittivo, vale a dire esclusivamente con riferimento agli atti funzionali. V. Perini M., Il Presidente della Repubblica in tempo di crisi. Se il procuratore che analizzerà la querela riconoscerà che il Presidente della Repubblica abbia agito al di fuori delle sue funzioni, allora questi potrà essere perseguito per il reato contestatogli presso l’autorità giudiziaria, immediatamente ovvero – per ragioni di opportunità – al termine del suo mandato. Se, invece, si riconoscerà che il Presidente ha agito nell’esercizio delle sue funzioni, questi resterà pur sempre perseguibile per alto tradimento o attentato alla Costituzione. Soltanto che, come noto, in tale ultima evenienza l’iter da seguire sarà assai diverso nonché molto più complesso.
Quanto all’attentato alla Costituzione, si tratta di un reato riscontrabile in tutte quelle condotte che si dimostrino palesemente irrispettose del dettato costituzionale, ovvero offensive dei principi stabiliti nella Carta. Non a caso, nella querela si è lamentato il mancato rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 3, 32, 54, 87 comma 1. Pertanto il Procuratore dovrebbe prendere in considerazione anche l’ipotesi di perseguire il Presidente per il compimento di atti nell’esercizio delle sue funzioni, come stabilito dall’art. 90 Costituzionale. In tal caso, l’autorità giudiziaria dovrebbe rimettersi al Presidente della Camera.
Si potrebbe ritenere che il singolo cittadino non possa promuovere l’iniziativa, ma questo assunto è errato. In verità, anche quando si voglia procedere per attentato alla Costituzione in esercizio di funzioni, il cittadino ha facoltà di rivolgere la propria querela al Presidente della Camera per il tramite della Procura. Seguirebbe l’esame di un apposito comitato e, dopo tale esame, l’eventuale messa in stato d’accusa. Non nascondiamoci: si tratta di una via a dir poco impervia che, verosimilmente nella totalità dei casi, è destinata a concludersi con l’archiviazione presso la Procura piuttosto che con l’analisi del comitato parlamentare.
Tuttavia, è bene che la cittadinanza prenda contezza di quali siano le prerogative previste dalla Costituzione, ed è bene che tutti sappiano che la decennale dissuasione operata all’interno della magistratura nei confronti di questo tipo di iniziative ha impedito, finora, di definire con maggior precisione la questione in merito agli atti funzionali e agli atti extra-funzionali; e ciò rappresenta senz’altro un peccato per noi tutti, anche perché impedisce di ritornare ad assunti di buon senso come quelli che vogliano valorizzare gli strumenti tipizzati dalla Carta, quali il messaggio ex art. 87 comma 2 Cost. e il rinvio ex art. 74 Cost. Il fatto è questo: si è sempre preferito il concerto istituzionale alla dialettica costituzionale. Non si dimentichi, infine, un limite ulteriore. Poiché la Costituzione rappresenta il cuore pulsante dell’ordinamento giuridico e della società italiana, giocoforza si dovrà ricordare che la libertà d’azione presidenziale e la stessa autorità del Capo dello Stato (così come l’autorità di ogni altro potere pubblico) dipenderanno sempre, in ultima istanza, dal livello di accettazione e sopportazione sociale.
Non si fraintenda questo punto, per carità: qui si vuole sottolineare un aspetto pacifico, ovvero che una grande partecipazione pubblica al dibattito politico, sociale e giuridico all’interno del Paese conserverà sempre il potere di influenzare in positivo la vita stessa delle Istituzioni; anzi, si deve concludere che una tale dialettica, aperta al popolo sovrano e ai suoi contributi, è proprio ciò che meglio risponde ai primi articoli della nostra Carta costituzionale. Traduciamo il suddetto limite sul piano normativo, rammentando il disposto ex art. 87 comma 1 (“Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”): se ne ricava non già un comando verso i cittadini, ma un monito verso lo stesso Presidente della Repubblica, affinché egli si impegni a farsi costantemente rappresentante effettivo dell’unità nazionale – da ciò il nostro rilievo sulla propaganda di una presunta “superiorità etica e morale” in capo a una certa categoria di persone (“cittadini italiani vaccinati”) ai danni di un’altra (“cittadini italiani non vaccinati”). A tal proposito, v. Motzo G., Il potere presidenziale di esternazione e di messaggio, in Arch. Giur., 1957, 19 ss., ove l’Autore evidenzia il profilo di ricerca di un “consenso dell’opinione nazionale” in merito alle esternazioni presidenziali.
Tale considerazione, paradossalmente, rovescia il timore reverenziale legato al reato di vilipendio verso il Presidente della Repubblica, figura che per tradizione e carisma si è affermata nella prassi in modo forse lievemente distorto rispetto a quanto preventivato dai Padri costituenti; all’opposto, è lo stesso Capo dello Stato, egli per primo, a dover ottemperare costantemente a un dovere di lealtà nei confronti dei consociati; e tale dovere è, per l’appunto, quello di rappresentare l’unità nazionale. V. anche, più in generale, Paladin L., voce Presidente, op. cit. pp. 216 e 223, note pp. 251 e 282. Persino tra i più “garantisti” (si usano qui le virgolette per ciò che si è già precisato in precedenza) pur si ammette che «La qualificazione del Presidente della Repubblica fornita dall’art.87, comma 1 Cost. non può essere considerata una clausola generale attributiva di competenze innominate e ulteriori rispetto a quelle individuate in Costituzione» – v. Rolla G., L’utilizzo dei poteri presidenziali tra emergenza e revisione tacita della Costituzione, 21 dicembre 2016, in rete su www.rivistaaic.it.
A pag. 163 della mia tesi di laurea si parla espressamente dell’art. 90 della Costituzione; e si dice ivi: “Occorreva, e occorre ancora, definire gli spazi in cui il Presidente agisce esperendo le sue funzioni (che sono quelle proprie del dettato costituzionale) e quelli in cui egli si atteggia a privato cittadino pienamente perseguibile per ciò che dice o fa. Molto spesso si tende a parlare di attribuzioni formali e informali, di modo da far apparire l’azione in perenne esercizio di funzioni. Questo non pare però l’atteggiamento più rispettoso del dibattito assembleare, durante il quale venne discussa la responsabilità penale del cittadino ricoprente la carica e vennero respinti gli emendamenti volti a stabilire una chiara irresponsabilità per gli atti compiuti al di fuori delle funzioni”.
Anche la discussa sentenza cost. n. 1/2013 in merito alla possibilità di intercettare il Presidente della Repubblica ha finito per ammettere che i profili di responsabilità del Presidente e della persona che riveste il ruolo sono ben presenti all’interno della Costituzione; peccato solo che essa abbia “tralasciato” di distinguere tra atti funzionali e atti extra-funzionali. Per Butturini D., Lo status del Presidente della Repubblica: spunti di riflessione dalla sentenza n. 1/2013 della Corte costituzionale, in Rass. parlam., n.1/2013, 223 ss., la sentenza “si espone sicuramente a critica nel passaggio in cui trascura, per proteggere le attività presidenziali informali, la distinzione fra sfera funzionale e sfera extra-funzionale del Presidente”.
Sappiamo che quanto si è stabilito in quell’occasione aveva il preciso scopo di sottrarre il Presidente allo strumento delle intercettazioni telefoniche, il che ha creato taluni paradossi di non poco conto; tuttavia, giammai si è negata la responsabilità penale della persona in carica. Parte della dottrina, poi, ha sempre considerato e considera tuttora necessario che le prerogative costituzionali del Capo dello Stato siano disposte espressamente, ovvero che esse siano tipizzate, non potendo trarsi fondamenti impliciti dalla lettura “del sistema”. Leggiamo da Adele Anzon Demmin, Associazione italiana dei costituzionalisti: «Appartengo invece alla schiera di coloro che ritengono che queste ipotesi, come ogni deroga a norme o principi costituzionali, debbano essere disposte appositamente ed espressamente.
Quindi non posso condividere l’idea-guida della decisione che prerogative costituzionali, pur derogando al principio costituzionale della pari sottoposizione alla giurisdizione, possano avere un fondamento costituzionale solo “implicito”». Si ritorna qui al rovescio della medaglia “garantista”, nella misura in cui si permane sì garantisti, ma non già in favore dell’autorità, bensì dei cittadini che a quell’autorità sono sottoposti. Si deve allora avere il coraggio di criticare la sentenza n.1 del 2013 nella parte in cui essa pretenda di poter risalire a delle garanzie presidenziali “specifiche” senza addurre un disposto espresso/esplicito. In merito, V. Furno E., La responsabilità del Presidente della Repubblica dopo la sentenza n. 1/2013 della Corte costituzionale, p. 102, circa la necessità di operare una lettura “sistematica” e i dubbi sollevati dall’Autore: «Trattasi di affermazioni del tutto condivisibili, se non fosse per un passo successivo della sentenza, in cui i giudici costituzionali sembrano svilire l’interpretazione meramente letterale delle disposizioni normative, definendola “metodo primitivo sempre” […] Orbene, l’interpretazione letterale non è un metodo primitivo, ma, come esattamente rilevato dal Modugno, costituisce il metodo “primario”, peraltro previsto dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, a cui attingere prima di ogni altro metodo interpretativo, “se non altro perché il diritto si esprime necessariamente in linguaggio”».
Il riferimento dell’Autore è all’opera di Modugno F., Tanto rumore per nulla (o per poco)?, in Giur. cost., 2013, 1249 ss., specie 1256. È certo che la posizione costituzionale assunta dal Presidente della Repubblica e il divieto di intercettare le conversazioni del Capo dello Stato trassero molto giovamento, più che dal “sistema”, dalla legge n. 219/1989. In questa occasione, d’altro canto, mio fratello ed io ci siamo pur sempre riferiti all’art. 90 Cost. e alla questione che per esso è stato possibile, a nostro parere, sollevare. Che anche la sent. N. 1/2013 abbia riconosciuto la responsabilità penale in capo al Presidente della Repubblica è confermato anche da Morelli A., in La riservatezza del Presidente. Idealità dei principi e realtà dei contesti nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, 28 marzo 2013, in rete su www.forumcostituzionale.it.
L’Autore commenta ivi in termini critici: «Non è ammissibile l’impiego di strumenti invasivi di ricerca della prova, come le intercettazioni telefoniche, “che finirebbero per coinvolgere, in modo inevitabile e indistinto, non solo le private conversazioni del Presidente, ma tutte le comunicazioni, comprese quelle necessarie per lo svolgimento delle sue essenziali funzioni istituzionali, per le quali […] si determina un intreccio continuo tra aspetti personali e funzionali, non preventivabile, e quindi non calcolabile ex ante da parte delle autorità che compiono le indagini”. È questo forse il passaggio più problematico della motivazione: il contestuale riconoscimento, da un lato, dell’assoggettabilità del Capo dello Stato alla responsabilità penale e, dall’altro, dell’impossibilità di utilizzare nei suoi confronti “strumenti invasivi di ricerca della prova”.
Non può non rilevarsi, infatti, che l’attribuzione in concreto della predetta responsabilità dipende anche, e soprattutto, dall’efficacia degli strumenti utilizzabili nel corso delle indagini e che le intercettazioni, com’è noto, forniscono, in molte attività investigative, elementi decisivi ai fini dell’accertamento dei fatti». Sono parole che si commentano da sé, e che delineano una questione ben distinta dalla “procedibilità” durante il periodo in cui il Presidente è in carica. In mancanza di norme costituzionali espresse che potessero fungere da ausilio interpretativo, l’onorevole Bozzi affermò che «vi potrà essere giudice che constaterà che l’immunità è prevista per i deputati e i senatori e non per il Presidente della Repubblica», mentre l’onorevole Tosato sembra quasi aver risposto direttamente, con oltre settant’anni di anticipo, a parte della dottrina odierna: «Un’assimilazione completa del Presidente della Repubblica con i deputati, estendendo al primo le identiche immunità previste per i secondi, non è sembrata adeguata alla figura e alla posizione del Presidente».
Lo si ribadisce una volta ancora: la sentenza 1/2013, pur prestando il fianco a numerose critiche, ha confermato essa stessa, con i suoi riferimenti agli strumenti di intercettazione telefonica, la piena responsabilità penale in capo al Presidente, ovvero all’uomo-Presidente. Non a caso la Corte costituzionale ha ammesso che il ricorso a differenti mezzi di ricerca della prova (quali documenti, testimonianze o altro ancora) è possibile, purché tali mezzi siano «tali da non arrecare una lesione alla sfera di comunicazione costituzionalmente protetta del Presidente» – Punto 13 del considerando in diritto.
Nella mia tesi era opportunamente scritto che «la questione si complica ulteriormente quando si deve riconoscere che il regime di tutela qui prospettato in favore del Capo dello Stato opera solo sul piano processuale. Il divieto d’intercettare le conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica manifesterebbe una tutela o un privilegio “limitato”, riferito “solamente” agli strumenti di indagine concretamente utilizzabili per accertare la responsabilità del Capo dello Stato. Rimane legittima, dunque, la piena assoggettabilità dell’individuo-Presidente alla responsabilità penale». Si deve concludere, come sempre, per la responsabilità del Presidente in conformità allo Stato di diritto e ai principi di una Repubblica democratica. Di più: il punto 16 del considerando in diritto della stessa sentenza, riletto oggigiorno, appare quasi profetico: «l’Autorità giudiziaria dovrà tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica. In tali estreme ipotesi, la stessa Autorità adotterà le iniziative consentite dall’ordinamento».
Muovendo da queste basi, parte della dottrina è arrivata a concludere che «l’Autorità giudiziaria dovrà prima di tutto valutare la rilevanza al fine di verificare se da essa possa desumersi il coinvolgimento del Capo dello Stato nei reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, ovvero, a fortiori, nel compimento di reati extra-funzionali». V. Furno E., La responsabilità del Presidente della Repubblica dopo la sentenza n.1/2013 della Corte costituzionale, p. 122. Possiamo così concludere la trattazione del profilo giuridico dell’iniziativa che abbiamo ritenuto doveroso intraprendere. Dopo la presentazione della nostra querela presso la Procura della Repubblica, la vicenda proseguirà in uno dei seguenti modi: 1) attraverso l’instaurazione di un processo penale che coinvolga, per il tramite dell’autorità giudiziaria, la Corte Costituzionale; 2) con un rinvio al Presidente della Camera, affinché quest’ultimo sia informato della questione e possa procedere ex art. 90 Cost.; 3) con una archiviazione in prima istanza.
È importante notare che le prime due strade potrebbero finanche intersecarsi, poiché ben potrebbero aversi, in un primo momento, la pronuncia della Consulta circa la natura funzionale ovvero extra-funzionale del discorso di Sergio Mattarella, e in un secondo momento, il coinvolgimento del Presidente della Camera dei Deputati. Ad ogni buon conto, teniamo a sottolineare che l’assenza di norme costituzionali espresse dovrebbe essere intesa nel senso di favorire la promozione attiva dei valori presenti all’interno della Carta, e giammai può essere interpretata come licenza di poter fare ciò che si vuole, finanche esprimere delle esternazioni che rischiano di dividere i cittadini. Crediamo si debba porre un freno all’abuso della cosiddetta moral suasion, o che perlomeno si inizi a interpretare ogni atto extra-funzionale per ciò che esso è realmente: un intervento posto al di fuori dell’esercizio delle funzioni presidenziali.
È ciò che abbiamo cercato di esprimere ed è ciò che abbiamo richiesto di verificare per mezzo della nostra querela. Il secondo e ultimo profilo della nostra iniziativa è legato, come già detto, al mero potenziale simbolico di una protesta di questo genere. La nostra querela, in tal senso, può essere interpretata come un appello al Presidente della Repubblica affinché egli ponga un freno al clima d’odio e alle divisioni sociali che da tempo milioni di cittadini italiani sono costretti, loro malgrado, a patire. Abbiamo perciò segnalato, nel rispetto delle istituzioni tutte e nella maniera più civile possibile, e il nostro sostegno verso i nostri concittadini e il nostro disappunto verso ogni tipo di discriminazione.
È con questo spirito di collaborazione e di lealtà con la Presidenza, il Governo, il Parlamento e con il popolo italiano che abbiamo invitato e invitiamo tuttora chiunque a emulare il nostro gesto presso tutte le procure della Repubblica, così da promuovere un’azione pacifica e simbolica nei confronti della più alta carica di Stato; la quale, ne siamo sicuri, comprenderà il senso delle nostre parole e saprà venire incontro a quella parte di popolazione italiana tanto maltrattata nel corso degli ultimi mesi. Ritenendola pertinente, si allega qui di seguito la conclusione della mia tesi di laurea: “La legittimazione dello Stato-Organizzazione passa sempre attraverso la sovranità dei suoi cittadini. La sovranità si esprime attraverso il voto, ma se non si vuole affermare che l’art. 1 comma 2 Cost. costituisca una mera formula vuota, si dovrà ammettere che i contenuti prescrittivi della stessa sovranità abbisognano di essere concretizzati, istituzionalizzati.
In caso contrario, «dopo aver preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo e averlo plasmato a suo modo, il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la Nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della quale il Governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo»”. v. Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, 1835-1840.
Per conoscenza, si informa il costituzionalista Daniele Trabucco. Il Professore è invitato a esprimere un’analisi critica del lavoro e a portare questo studio all’attenzione di altri colleghi o giornali, come La Verità di Maurizio Belpietro.
Il modello da scaricare se si condivide l’iniziativa: https://docs.google.com/…/1h…/mobilebasic Edit – Fanno ulteriormente sorridere alcuni tentativi di ridurre la questione all’art. 283 c.p., e le accuse di malafede che mi vengono sottilmente rivolte.Valga questo studio a rendere perlomeno discutibili certe argomentazioni, quando non risibili; e a testimoniare la mia buona fede, che sol chi non mi conosce si permette di mettere in discussione. https://www.giurisprudenzapenale.com/…/Fraino_gp_2019_4…
E non è un caso che si citi uno studio che nelle fasi conclusive esprime opinioni personali differenti dalle mie. Che il corpo della tesi vale a ritenere corrette anche la mie posizioni.
Fonte: profilo FB di Andrea Zuccaro
Siamo entusiasti di comunicarvi la partnership tra Oggi Notizie e Anime Libere, un social libero da CENSURE, Intelligenza Artificiale, e algoritmi di controllo. Con il nuovo social Anime Libere hai la possibilità di pubblicare tu stesso notizie e argomenti di tuo interesse, aprire gruppi pubblici o privati e interagire con tutti gli iscritti attraverso una chat in tempo reale. Anime Libere preserva e promuove la possibilità di esprimersi e condividere opinioni, incoraggiando una discussione rispettosa e civile tra gli utenti.
Anime Libere non solo è totalmente gratuito, ma chi volesse sostenere il progetto sottoscrivendo un abbonamento avrà la possibilità di GUADAGNARE invitando amici ad iscriversi e monetizzare tramite i contenuti che pubblicherà