Sapete chi è Ilaria Capua, no? In questi giorni si parla molto di lei perché è considerata, nel mondo, la più importante virologa italiana. Mario Monti la volle con sé in Parlamento e lei fu eletta alle elezioni del 2013. Ieri ha rilasciato una lunga intervista all’Ansa nella quale ci spiega per filo e per segno come funziona questo dannato virus, da dove è partito, in quanti ceppi diversi si presenta, per quali porte è entrato in Europa e in America, e ci ha anche tranquillizzato sul fatto che gli untori non siamo noi italiani.
Qualcuno potrebbe chiedersi: perché è andata via dall’Italia, dove, oltretutto, era deputata? Per una ragione semplice: è caduta vittima di un linciaggio giornalistico-giudiziario, qualcuno potrebbe pensare persino che si sia trattato di un complotto, comunque è stata una congiura infame. È finita indagata per reati che avrebbero potuto portarla all’ergastolo, è stata riempita di fango fino al collo e ancora di più, è stata costretta a dimettersi dal Parlamento, la sua reputazione è stata fatta a pezzettini piccoli piccoli, e quando finalmente ha ottenuto giustizia in tribunale (ma solo parziale e comunque non sulla stampa) è voluta andare a vivere a ottomila chilometri dall’Italia. Credo, disgustata.
Ecco in poche righe la storia del linciaggio della Capua.
Nel 2010 la polizia avvia un’indagine su di lei. I reati che si ipotizzano sono spaventosi: non solo corruzione ma addirittura “diffusione di epidemia” (cioè, in pratica, di tentata strage), reato che prevede il carcere a vita. L’ipotesi della polizia è che la professoressa, d’intesa con alcune case farmaceutiche e pagata da loro, abbia creato e diffuso dei virus per poi vendere i vaccini pronti per curarli. Un disegno e un’anima assolutamente diabolici, un grado impensabile di perversione e cinismo.
L’indagine resta per quattro anni ferma nel cassetto di un alto magistrato romano, Giancarlo Capaldo, il quale non muove un dito. Poi, improvvisamente, le carte – chissà come – finiscono nelle mani di un giornalista dell’Espresso – che da allora fa una brillante carriera e ora è vicedirettore del settimanale – il quale pubblica un bell’articolo presentato in copertina, a tutta pagina, con il titolo, terrificante, “trafficanti di virus”. La professoressa a quel punto ancora non sa niente dell’indagine della procura di Roma. Scopre dall’Espresso di essere una “trafficante di virus”, cioè un tipo di assassina seriale della peggior specie. Voi come avreste reagito a una simile follia? Come avreste provato a resistere, a non farvi travolgere? Io non lo so. Lei si dimise da deputata e iniziò a combattere. Capaldo, dopo l’uscita dell’Espresso, si limitò a confermare le accuse a a dichiarare chiuse le indagini. Per fortuna, per ragioni tecniche, il processo fu spostato a Verona, e la professoressa fu del tutto assolta. Le accuse erano assolutamente infondate e di pura fantasia.
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