Ascoltare l’audio trapelato in questi giorni tra Billie Sol Estes, ricco imprenditore del Texas già condannato per frode, e Clifton Carter, braccio destro del presidente Lyndon Johnson, sembra come ascoltare due voci dell’oltretomba.
Voci di uomini morti che rivelano una verità orribile saputa da molto tempo da coloro che hanno seguito fino in fondo la pista che conduce ai veri assassini del presidente John Kennedy.
Clifton Carter lo dice candidamente, senza troppi pudori, probabilmente inconsapevole che in quel momento la sua voce era registrata.
Ad ordinare di uccidere il presidente Kennedy è stato il suo vicepresidente, Lyndon Johnson, e il suo fidato consigliere rivela che Johnson diede l’incarico di portare a termine l’operazione a Mac Wallace, già economista al servizio del dipartimento dell’Agricoltura, e condannato per l’omicidio di sua moglie nel 1952 senza però scontare la condanna in prigione.
Carter sembra chiaramente aver avuto un duro scontro con Johnson che, a suo dire, non avrebbe mai dovuto dare l’ordine di eseguire un ordine che sembrava comunque essere dolorosamente “necessario” perché JFK era ormai motivo di “imbarazzo” per il vicepresidente degli Stati Uniti e gli uomini che lo avevano voluto alla Casa Bianca.
Significativa anche la parola scelta da Carter: imbarazzante.
E’ la stessa identica espressione che utilizzò proprio Johnson nel corso di una conversazione che lui ebbe il giorno prima dell’omicidio, il 21 novembre del 1963, con la sua amante, Madeleine Jones, alla quale disse che da “domani quei figli di puttana (i Kennedy, ndr) non mi metteranno più in imbarazzo”.
Johnson aveva appena finito di parlare con gli uomini dell’FBI, i signori del crimine organizzato a Dallas e altre figure di spicco della città texana.
L’ordine era “necessario” ovviamente soltanto agli occhi di chi voleva che gli Stati Uniti restassero sotto il controllo di quei poteri che per lungo tempo ne hanno dirottato in qualche modo la politica estera e che hanno trascinato l’America in due guerre mondiali.
L’America nelle mani del sionismo
Sono gli influenti ambienti del movimento sionista mondiale che già nella prima guerra mondiale si misero all’opera per far entrare in guerra gli Stati Uniti nonostante l’opinione pubblica americana non avesse nessuna voglia di entrare in una disputa europea che non interessava molto all’altra sponda dell’Atlantico.
All’epoca gli emissari della lobby sionista mandarono un loro uomo a Washington, l’avvocato Samuel Untermyer, che senza troppi giri di parole venne inviato nella capitale americana per consegnare un messaggio all’allora presidente Woodrow Wilson.
Wilson era stato eletto grazie ai fondi del movimento sionista ed ebraico e in quell’occasione gli venne detto che una sua amante ai tempi della sua docenza universitaria a Princeton, aveva tutta l’intenzione di far valere le sue promesse di matrimonio scritte in una corrispondenza tra i due di fronte alla legge.
Era un’America molto diversa da quella contemporanea tanto che appunto gli impegni di matrimonio avevano un valore legale e la loro inosservanza costituiva appunto violazione di legge.
Wilson però non mantenne fede alla sua promessa di sposare la sua amante già maritata e allora la signora era pronta a far scoppiare uno scandalo se non le fosse stato un congruo riconoscimento in denaro.
A mettere fine alla controversia ci pensò Untermyer che si offrì di anticipare la somma che ovviamente prevedeva un corrispettivo politico da parte del presidente americano che si sarebbe impegnato a far entrare gli Stati Uniti in guerra, come puntualmente accadde.
Il mondo sionista ed ebraico voleva a tutti i costi la Palestina per poter costruire la nuova terra promessa e il governo che si era impegnato su tutti a realizzare tale aspirazione era quello di Londra che mise persino per iscritto, la famigerata dichiarazione Balfour, la volontà del governo britannico di togliere la Palestina all’impero Ottomano per trasformarla nel futuro stato ebraico.
Affermare che la ragione principale della prima guerra mondiale è stata quella di dismettere l’impero Ottomano oltre che di rovesciare la famiglia zarista a Mosca per mettere al suo posto i bolscevichi, in larga parte di origine ebraica, sarebbe soltanto un esercizio che avrebbe a che fare con i fatti e nulla più.
Il conflitto tra il mondo ebraico e i Kennedy
46 anni dopo, John Fitzgerald Kennedy era diventato d’intralcio per questi poteri perché la sua famiglia non aveva fatto una buona relazione con il mondo ebraico nonostante il patriarca della famiglia, Joe Kennedy, prima di diventare ambasciatore a Londra negli anni’30, avesse fatto la sua fortuna vendendo liquori con il gangster ebraico Meyer Lansky, prima che le strade di Joe e della mafia ebraica si separassero.
Joe voleva che suo figlio diventasse presidente ma sapeva che per farlo sarebbe dovuto andare contro gli interessi di quei poteri che volevano tenere in pugno l’America e la sua potenza militare e finanziaria per consentire allo stato di Israele di proseguire con i suoi piani.
Joseph “Joe” Kennedy, a sinistra, con suo figlio John
I rapporti tra Kennedy e lo stato ebraico si deteriorano a tal punto che l’allora primo ministro di Israele, Ben Gurion, considerato oggi il “padre fondatore” israeliano, arrivava a considerare il presidente americano come una sorta di “moccioso” troppo giovane per poter stare al suo stesso livello.
John Kennedy era venuto a sapere che lo stato ebraico aveva intenzione di perseguire un programma nucleare che avrebbe messo a rischio tutti gli equilibri in Medio Oriente, perché la nuclearizzazione di Tel Aviv era, e lo è tuttora, una minaccia per la pace in quella zona del mondo.
Non ci sono certo scopi “difensivi” alla base ma minatori perché Israele non è uno stato che vuole stare in un pezzo di terra che già non è suo, ma ambisce ad espandersi, ad andare oltre per costruire un vero e proprio impero che un giorno, nell’ottica dei suoi architetti, riceverà il tanto “atteso” messia ebraico del quale parla la setta sionista Chabad e altri gruppi del sionismo messianico.
A spiegare come Israele voglia diventare nazione tra le nazioni fu lo stesso Ben Gurion che proprio l’anno prima dell’omicidio di Kennedy rilasciò una intervista al celebre settimanale Life nel quale spiegava come un giorno il mondo si sarebbe trovato unificato da una sorta di governance globale, nella quale lo stato ebraico avrebbe avuto il ruolo di supremazia assoluta.
Ben Gurion
Israele in questa visione rappresenta il centro di questo governo mondiale dominato dal messia ebraico, vero e proprio “sovrano” del mondo che incarna l’archetipo del nemico assoluto della cristianità.
Kennedy non amava i “sogni” di grandezza israeliani e non voleva soltanto mettere fine al programma nucleare di Dimona, vnel deserto israeliano, ma voleva anche far registrare la potentissima lobby israelo-americana, l’AIPAC, come un agente straniero.
Se c’è una lobby che ha indirizzato, o meglio dettato, la politica estera americana negli ultimi 60 anni ai vari presidenti americani questa è certamente l’AIPAC che può considerarsi a pieno titolo l’architetto di tutta quella campagna di destabilizzazione e guerra permanenti seminate nel Medio Oriente per abbattere i “nemici” di Israele e consentire a questo stato di perseguire i suoi piani di dominio imperialistico.
I veri assassini del presidente Kennedy
John Kennedy non voleva un’America al servizio del sionismo e dal momento stesso nel quale questa sua volontà si manifestò chiaramente, allora i cospiratori si misero all’opera per ucciderlo.
Al pubblico americano ed internazionale ancora fino a poco tempo fa è stata raccontata la balla che a sparare al presidente americano fu Lee Harvey Oswald, già agente segreto della Marina americana, quando in realtà il capro espiatorio deciso per vestire i panni del colpevole non si trovava nemmeno dove la commissione Warren lo aveva messo, ovvero nel deposito di libri da dove avrebbe sparato contro Kennedy.
Oswald era fuori, in strada in attesa che passasse il corteo presidenziale di Kennedy e non poteva certo sparare da lì perché, tra l’altro, non risultava nemmeno armato.
A documentare che Oswald era su quella strada è anche una fotografia pubblicata dall’Associated Press.
La foto dell’Associated Press dove si vede Oswald fuori dal deposito dei libri e non al sesto piano dove avrebbe sparato
Non importava però ai cospiratori che avevano già pronto il loro copione denso di bugie.
A invitare Kennedy a Dallas era stato il presidente della comunità ebraica locale, Julius Schepps, che di certo non poteva considerarsi un amico di Kennedy, considerata la sua ostilità a Israele, e anche negli attimi che precedeva si comprende chiaramente che la cospirazione per uccidere il presidente era molto vasta.
L’auto presidenziale non avrebbe dovuto essere scoperta considerati i precedenti episodi di ostilità registratisi a Dallas contro il presidente, e il servizio segreto non era nemmeno al suo posto, e a dimostrazione di ciò c’è un video che immortala un agente della sicurezza che perplesso scuote la testa perché gli è stato impedito di scortare Kennedy durante il tragitto.
A sparare il colpo decisivo e mortale al presidente non è stato qualcuno appostato da dietro, ma qualcuno che si trovava di fronte a Kennedy e lo si può chiaramente vedere dal celebre filmato di Zapruder nel quale si vede che la testa del presidente viene colpita da davanti.
Se si guarda attentamente tale filmato in una risoluzione migliorata si riesce a vedere come a sparare il colpo decisivo al presidente fu con ogni probabilità il suo autista, Bill Greer, che si gira verso il capo di Stato e con un’arma nella mano sinistra fa fuoco contro di lui.
A rivelare come già i servizi segreti della Marina sapessero che a sparare era stato Greer è stato Bill Cooper, ex membro della Marina Americana, che fu ucciso dalla polizia della sua contea in Arizona, a Sedona, in circostanza mai del tutto chiarite.
Oswald però non poteva restare vivo. Era la prova che poteva far crollare tutto il castello di carte e già quando era stato arrestato aveva subito detto che non era stato lui a sparare e che lui era soltanto un capro espiatorio.
Jack Ruby:”l’ho fatto per gli ebrei”
Aveva detto il vero. I cospiratori allora diedero incarico ad un mafioso di origini ebraiche del posto, tale Jack Ruby, vero nome Rubenstein, di uccidere Oswald per togliere di mezzo colui che poteva incriminare tutti quanti.
Jack Ruby
Ruby a Dallas era conosciuto da tutti, soprattutto dalla polizia che frequentava il suo locale di spogliarelliste.
Il mafioso aveva anche stretti rapporti con un altro noto gangster ebraico, Micky Cohen, attivo a Los Angeles, e anche personaggi in vista del mondo politico israeliano come il capo del gruppo terrorista Irgun, Menachem Begin, che poi divenne primo ministro nel 1980.
Ruby prima di sparare a Oswald si reca persino in sinagoga quasi a cercare un conforto spirituale e riesce ad entrare nella stazione di polizia di Dallas probabilmente grazie alle sue amicizie in polizia che gli avevano anche fatto sapere quando il presunto assassino di Kennedy sarebbe stato trasferito.
Ruby si avvicina indisturbato e fa fuoco contro Lee Harvey Oswald che non muore subito però.
Viene portato all’ospedale Parkland di Dallas dove lo assiste il chirurgo Charles Crenshaw che durante l’operazione riceve una chiamata dal già neopresidente Johnson.
Johnson si premura di chiedere come sta Oswald e il dottore gli dice che sta resistendo, e allora il presidente gli risponde in maniera molto strana.
Johnson fa sapere al dottore che vuole una “confessione sul letto di morte da Oswald” e che già un uomo in sala operatoria pronto a registrarla, ma il chirurgo non gli aveva detto che l’ex agente della Marina era morente, ma che stava lottando.
Intorno alla sala operatoria girava infatti uno strano tipo che assomigliava a Oliver Hardy e che portava la pistola.
Una volta che si interrompe la conversazione tra il chirurgo e il presidente, quando il primo rientra in sala operatoria, Oswald era già morto.
Il presidente che aveva sostituito Kennedy sembrava chiaramente volere la morte di Oswald perché la sola possibilità che questi fosse rimasto in vita avrebbe compromesso l’intera operazione.
Ruby, o meglio Rubenstein, non si nascose troppo e disse che aveva fatto quello che aveva fatto per impedire che gli ebrei fossero sottoposti ad un “pogrom”, nel timore che il pubblico americano una volta saputo di chi era la vera responsabilità del delitto avrebbero scatenato la loro rabbia contro la comunità ebraica.
Il gangster non fece comunque in tempo a dire nulla nemmeno lui. Morì il 3 gennaio del 1967 dopo aver ricevuto una iniezione da parte del medico del carcere dove era detenuto che Ruby non voleva affatto ricevere.
Johnson una volta insediato alla Casa Bianca fa tutto ciò che vuole Israele.
Il programma nucleare di Israele va avanti a gonfie vele e l’AIPAC diviene più potente che mai.
Gli Stati Uniti diventano il primo fornitore di armi ad Israele che non esita nemmeno ad affondare e uccidere 34 marinai americani a bordo della USS Liberty nel 1967 pur di dare la colpa all’Egitto durante la guerra dei sei giorni.
Johnson ancora oggi viene definito dai media israeliani come il presidente più amico dello stato ebraico della storia americana, e nel corso degli anni è stata propria la stampa israeliana a rivelare come il presidente che prese il posto di Kennedy era anch’egli di origini ebraiche.
I suoi rapporti con il sionismo erano solidi già in famiglia tramite sua zia Jessie Johnson Hatcher, membro dell’organizzazione sionista d’America, che può considerarsi a tutti gli effetti come la sua mentore.
Sono passati ormai 62 anni da quel tragico giorno a Dallas, e ormai sembra che l’America e il mondo siano pronti ad apprendere la verità su quanto accaduto quel giorno.
L’omicidio del presidente Kennedy non fu opera di un folle solitario. Essa fu il risultato di una elaborata cospirazione a più livelli di quegli elementi del governo americano fedeli alla causa israeliana e non a quella degli Stati Uniti.
Ci fu un colpo di Stato in America il 22 novembre del 1963 e a perpetrarlo fu lo stato ebraico contro gli Stati Uniti d’America e Lyndon Johnson era uno di quei traditori che non esitò a partecipare all’omicidio di Kennedy.
L’America è stata dirottata ma più di mezzo secolo dopo sembra si vada verso la chiusura di questo dominio attraverso un altro presidente che è stato a sua volta protagonista di altri tentativi di omicidio, come Donald Trump.
Trump sta facendo questo. Sta chiudendo il cerchio iniziato nel 1963.
Sta liberando gli Stati Uniti da quel giogo e sta permettendo di far venire a galla la verità sui veri padroni d’America e sui veri assassini di John Fitzgerald Kennedy.
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