Se non fosse frutto di esperienza personale, vissuta in prima linea, con un occhio attento e vigile, verrebbe da pensare che possa trattarsi di testi narrativi, scientemente e volutamente esasperati e nutriti di materiale “ad colorandum”…se non ci fosse in mezzo la vita, la dignità ed il benessere di un individuo, verrebbe quasi da credere che sia l’opera di una mente particolarmente fantasiosa ed oltremodo dedita all’elucubrazione intellettiva.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, è semplice realtà vissuta. Amara, triste, caustica, drammatica e intrisa di speranza e fiducia.
Ma andiamo con ordine.
L’ambito sanitario – che in maniera equa e imparziale prima o poi tocca tutti – soffre da decenni il taglio dei fondi, l’agonia del personale carente, la mancanza di risorse generalmente intese e, purtroppo, queste deficienze del sistema cadono sul paziente (che oggi in una logica aziendalista si preferisce chiamare utente) il quale, suo malgrado in una posizione di fragilità, deve augurarsi di finire in buone mani e/o di avere una team familiare di supporto, che vigili ed intervenga in caso di necessità.
Conosco e riconosco con gratitudine immensa la pagina bianca del mondo sanitario, che è composta da professionisti (oss, infermieri, medici) di grandezza umana e professionale encomiabili, che lavorano in scienza e coscienza, con passione, serietà, onestà ed impegno.
Voglio che questa realtà sia ben chiara e altrettanto chiaramente sia giustamente riconosciuta, perché esiste e lavora spesso in silenzio, lontano dai clamori mediatici.
Conosco, parimenti, la pagina nera del mondo sanitario, che gioca al ruolo dello scarico di responsabilità, che passa la giornata sperando di non incappare in qualche problema, che vede il malato come un problema, soprattutto se ha un’età superiore ai 65/70 anni, ha necessità di reiterate ospedalizzazioni ed in qualche modo crea un costo e diventa oltremodo gravoso.
Per non parlare poi della difficoltà ad entrare in contatto anche solo telefonico con determinati professionisti, che necessitano di previa telefonata in segreteria e poi successiva attesa prima di essere richiamati: questo a confronto con menti ed individui, professionisti brillanti e di prim’ordine che rispondono direttamente al proprio interno alle ore più disparate e riscontrano una email all’alba o a mezzanotte.
Mi rendo conto che esercitare la professione sanitaria, a qualunque livello, sia oggi particolarmente complesso e ritengo, altresì, che l’utenza sia sovente difficile da contenere, in quanto la società (soprattutto dal 2020 in avanti) è intrisa da maggiore paura, nervosismo, senso di carenza e senso di urgenza pregnanti.
Mi pongo, tuttavia, la domanda lecita del perché gli individui siano così esasperati: conosco fin da piccola il mondo sanitario, perché ho la fortuna di avere un padre medico di lunga esperienza che ha sempre agito con coscienza e scrupolo, non guardando l’orologio né lesinando cure ed accertamenti a chi necessitava.
Rilevo, tuttavia, che oggi il mondo sanitario, sconti un’impostazione aziendale ed aziendalista, che lo depaupera di quella umanità e personalizzazione dell’approccio, che non può né deve essere sostituita dall’applicazione pedissequa di sterili protocolli, stilati da tecnici estranei al mondo sanitario.
Ritengo che una lungodegenza riabilitativa debba tendere, appunto, alla riabilitazione del paziente e non portarlo ad aggravarne le condizioni, con ulteriore necessità di ricovero ospedaliero.
Penso che un medico non possa arrogarsi il diritto di esercitare il proprio potere in danno di chi si trova – ob torto collo – in una posizione di fragilità psicofisica.
Sono dell’avviso che non dovrebbe accadere per esempio che un paziente rischi il soffocamento perché ha fatto – golosamente – un boccone troppo grosso ed in quel momento era da solo e solo grazie ad un intervento tempestivo si è salvato.
Ritengo, ancora, che non dovrebbero formarsi delle piaghe da decubito in regime di degenza e che – laddove di dovessero formare (il che rappresenterebbe già un grosso fallimento del reparto) – dovrebbe esserci un intervento di cura e di medicazione tempestivi ed efficaci.
Sono certa che, se ogni sanitario potesse proiettare l’immagine di se stesso e/o di un proprio congiunto in un letto di ospedale, riuscirebbe a comprendere quello che sto affermando.
Signori, la salute non fa sconti a nessuno e non guarda in faccia titoli, onorificenze e livelli sociali: cerchiamo di avere consapevolezza di quello che avviene nelle strutture sanitarie, per poter ringraziare di cuore chi lavora con coscienza e scrupolo e per far sentire la propria voce di fronte a chi, invece, scorda di aver fatto un sacro giuramento.
Abbiamo il diritto di essere ascoltati e curati ed abbiamo il dovere di farci ascoltare, con le modalità corrette e legittime, con assertività.
Sono dell’avviso che non bisogna farsi paralizzare dalla paura e che sia necessario rompere un silenzio assordante, anche per chi non ha voce e non può farsi sentire. Diventiamo protagonisti ed usciamo dal ruolo di comparse silenti.
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