Israele, non è un segreto, è uno stato che ama molto vantarsi dei suoi presunti successi, e delle sue presunte operazioni contro i leader di Hezbollah oppure di Hamas, nonostante questa sia, come noto, una opposizione controllata dello stato ebraico, alla quale Tel Aviv si preoccupa di far giungere i fondi necessari.
L’espressione “presunti” non è stata certo scelta per puro caso, in quanto lo stato ebraico spesso non fornisce prova di questi suoi riusciti attacchi contro le varie figure nemiche di Hezbollah, e ci troviamo evidentemente di fronte ad una macchina della propaganda che vuole mostrare Israele come invincibile di fronte agli occhi della opinione pubblica internazionale, alla quale viene raramente detto il reale stato dell’arte nella guerra in corso contro il Libano.
All’opinione pubblica internazionale, ad esempio, non viene detto che un ex alto ufficiale delle forze armate israeliane stava facendo su X un dettagliato resoconto della situazione al fronte libanese, nel quale già almeno 1400 uomini dell’esercito israeliano sarebbero fuggiti dal campo di battaglia, e dove regnerebbe sovrana l’indisciplina e l’insubordinazione.
Così come sono state taciute le reali sorti del generale Halevi che pare si trovasse realmente nella base del deserto del Golan colpita dai droni di Hezbollah, anche se le forze armate israeliane hanno provato a smentire l’accaduto attraverso delle immagini che mostrano il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane passeggiare nella base, nonostante questa in tali immagini appaia perfettamente intatta e pulita, a differenza di quello che invece si vedeva poche ore prima, con l’installazione militare ridotta ad un mattatoio, talmente tanto il sangue che era caduto a terra.
Il numero delle vittime pare essere stato pari almeno a 50, ma anche qui i media Occidentali si sono adoperati per minimizzare le perdite subite dagli israeliani.
E’ del tutto evidente che ci si trova di fronte ad una guerra della propaganda, una forse ancora più intensa di quella che si è vista nel conflitto in Ucraina, laddove i media Occidentali hanno costruito tutta una falsa narrazione secondo la quale la Russia andava incontro al disastro, quando, com’era ovvio a chi ha un minimo di comprensione militare, il disastro è stato per le forze armate ucraine, falcidiate dalla soverchiante forza russa.
Israele si sta adoperando ancora di più per nascondere le sue gravi perdite, e i media mainstream ovviamente corrono in suo soccorso pur di preservare l’aura di “potenza invincibile” che mai viene scalfita dagli attacchi avversari.
Gli spifferi però in questo muro della propaganda sionista pieno di crepe si fanno sempre più grossi, e in uno di questi sono passate quelle informazioni che Israele si adopera per nascondere.
I fatti del 29 settembre e l’attacco Houthi all’aereo di Netanyahu
E’ proprio in uno di questi spifferi che è trapelato il retroscena su quanto accaduto al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, vittima di un attacco missilistico lo scorso 29 settembre e, sul quale, i lettori ricorderanno, siamo stati i primi a riferire.
Che l’attacco ci sia stato è pacifico, tanto che non solo gli stessi Houthi lo hanno rivendicato ufficialmente, ma sono anche trapelate immagini da parte israeliana che mostravano effettivamente come quel giorno l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv si trovasse in stato di allerta, e come i passeggeri presenti si sono dati alla fuga dopo l’attacco.
Per comprendere comunque meglio quanto accaduto quel giorno, ci è utile ricostruire nel dettaglio le fasi che hanno accompagnato il ritorno di Netanyahu dal viaggio a New York nella sede delle Nazioni Unite, nella quale il primo ministro aveva tuonato contro l’ONU, da lui definita “palude antisemita” , nonostante non ci sia certo nessuna simpatia da parte nostra nei confronti di questo simulacro di governance globale, ma ciò mette in rilievo, ancora una volta, la mania di persecuzione di certi ambienti sionisti ed ebraici, pronti ad apporre il marchio di infamia di “antisemiti” a tutti coloro che si oppongono ai loro deliri di onnipotenza.
Dopo aver dato l’ordine di attaccare il leader di Hezbollah, Nasrallah, Netanyahu sale a bordo del suo aereo governativo, la cui sigla ufficiale è 4X-ISR.
Decolla alle 23:49, ora locale di New York, per giungere nella mattinata europea, attorno alle 9-10 del mattino nei cieli di Israele.
Qualcosa di strano o anomalo dev’essere accaduto in quegli attimi, poiché proprio in quel frangente l’aereo, giunto nei pressi del villaggio di Bet Shemesh, a poca distanza da Gerusalemme, spegne improvvisamente il trasponder e diventa invisibile ai radar che tracciano in tempo reale i tracciati degli aerei su Flighradar.
Ricompare misteriosamente un’ora dopo all’aeroporto di Tel Aviv, proprio quando sarebbe avvenuto l’attacco missilistico degli Houthi.
Appare essere procedura di sicurezza standard staccare il trasponder in caso di attacco missilistico anche se questo non è decisivo per evitare l’impatto di un missile che si fonda sul principio del calore emanato dall’oggetto per raggiungere e colpire il suo obiettivo.
In quel frangente è probabile che i piloti dell’aereo di Netanyahu abbiano visto attraverso i loro strumenti di bordo che dei missili si dirigevano verso il loro velivolo.
Gli aerei israeliani sono infatti tutti dotati di un sistema di sicurezza antimissilistico chiamato Flightguard, che utilizza un radar doppler per rilevare eventuali missili in arrivo, per poi successivamente rilasciare quelle che vengono chiamate in gergo tecnico flares, ovvero delle fiammate termiche che fungono da diversivo per mandare il missile a vuoto.
L’aereo presidenziale di Israele chiamato con non poca enfasi “Wings of Zion” è dotato dello stesso sistema, e recentemente era stato anche sottoposto a degli aggiornamenti di sicurezza molto pubblicizzati dai media israeliani lo scorso luglio.
Né le contromisure del Boeing 767 né le sue manovre diversive sembrano comunque aver sortito gli effetti desiderati poiché una volta giunto all’aeroporto, l’aereo del primo ministro Netanyahu sembrerebbe essere stato colpito dai missili Houthi mentre si trovava sulla pista di atterraggio.
A quel punto, lo vediamo ricomparire improvvisamente su Flightradar per dirigersi subito verso Amman, in Giordania, probabilmente perché l’aeroporto di Tel Aviv non era praticabile in quegli istanti, e a conferma che la struttura non è stata pienamente operativa nei giorni successivi, c’è il fatto che diversi voli sono stati dirottati verso la Giordania.
Secondo quanto ci è stato riferito da fonti di intelligence libanesi, l’aereo, una volta giunto ad Amman sarebbe stato nascosto in un hangar e coperto con dei teli per impedire agli operatori aeroportuali di vedere il danno che questo avrebbe subito.
La nostra fonte ha parlato direttamente con alcuni addetti dell’aeroporto di Amman che gli hanno riferito che l’aereo è ancora lì, e quanto riferito da questi coincide perfettamente con quanto si può vedere su Flightradar, poiché l’ultimo viaggio dell’aereo del primo ministro è proprio quello verso la Giordania.
Leggi articolo completo di Cesare Sacchetti …
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