La Corte suprema di Belgrado ha deciso di portare a processo la Nato per le bombe “umanitarie” all’uranio impoverito lanciate contro la ex Jugoslavia nel 1999, nell’ambito dell’operazione Allied Force. La causa è stata formalmente presentata nel 2021 da un ex militare dell’esercito jugoslavo, affetto da gravi patologie tumorali simili a quelle di molti altri suoi ex colleghi serbi e italiani ed imputabili, secondo lui e il suo legale, alle conseguenze delle bombe all’uranio impoverito. Alla sua denuncia si sono aggiunte quelle di oltre 3 mila civili serbi, che chiedono giustizia non solo per i danni materiali causati da quell’operazione ma anche per le conseguenze sulla propria salute. L’Alleanza ha cercato di appellarsi all’immunità giurisdizionale, ma venerdì 3 giugno sono state depositate a Belgrado le istanze per annientare il tentativo della Nato di sottrarsi al processo.
La strategia elaborata dai legali serbi in collaborazione con Angelo Fiore Tartaglia, avvocato che da due decenni si occupa della tutela legale dei militari ammalatisi di tumore durante le missioni nei Balcani, si compone di due punti fondamentali. Il primo è che l’accordo di cooperazione cui la Nato fa riferimento nella Nota a Verbale inviata a Belgrado e che ne dovrebbe sancire l’immunità è stato siglato nel 2005 e non ha, perciò, valore retroattivo per l’attività dell’Alleanza nel periodo 1995-2000. Il secondo è che la presenza di un ufficiale Nato di collegamento insediatosi a Belgrado, altro elemento apportato dall’Alleanza a supporto della propria immunità, “non acquisisce efficacia sanante nei confronti di una condotta che costituisce comunque una violazione delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale (consistenti nell’aver commesso crimini di guerra)”.
L’operazione Allied Force, cominciata in Serbia il 24 marzo 1999 con il primo bombardamento su Belgrado, durò 78 giorni. Le bombe “umanitarie” della Nato colpirono centinaia di obiettivi e infrastrutture sia civili che militari, causando una massiccia distruzione anche a causa dell’impiego di bombe a grappolo e di 15 tonnellate di uranio impoverito. Le conseguenze sulla popolazione, oltre alle centinaia di morti e le migliaia di feriti, furono devastanti anche per l’impatto a lungo termine sulla salute dei civili: la Serbia si colloca infatti al primo posto nella classifica europea per il numero di malattie oncologiche. A soli 10 anni dall’operazione Allied Force furono infatti circa 30 mila coloro che si ammalarono di cancro, dei quali 10 mila morirono. Nonostante i tenaci tentativi delle istituzioni militari italiane di negare il collegamento tra patologie dei militari e contesto ambientale, numerose sentenze riuscirono a ribaltare le “verità di Stato” e condannarono il ministero della Difesa a risarcire i danni. Furono 7600, secondo i dati dell’Osservatorio Militare, i militari italiani ad ammalarsi di cancro per le armi ad uranio impoverito utilizzate nel corso dell’operazione Allied Force in Jugoslavia nel 1999, dei quali 400 morirono.
Che la Nato abbia commesso crimini di guerra in Jugoslavia, fa notare l’avvocato Tartaglia, è una verità incontrovertibile, in quanto questi vengono definiti dall’art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale come atti di “omicidio volontario; tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici; cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute”. Come fa inoltre notare Mauro Pili nel suo articolo su Unione Sarda, la Nato svolge numerose operazioni anche nei poligoni di Quirra e Teulada nel corso delle quali vengono utilizzate armi al torio, elemento molto più pericolo dell’uranio impoverito in grado di causare danni ambientali e alla salute: devastazioni per le quali l’Alleanza Atlantica potrebbe essere considerata altrettanto colpevole.
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