Lo scorso lunedì se qualcuno fosse passato dalle parti del ghetto ebraico a Roma avrà probabilmente pensato di aver sbagliato strada.
Talmente alta era la concentrazione di politici, di esponenti del governo, delle regioni e dei comuni che ad un certo istante a chi ha visto tale raduno di personaggi sarà sembrato di essere finito dentro Montecitorio nel corso di una seduta a camere unite per l’elezione del capo dello Stato.
E invece non c’era nulla di tutto questo. Si era nella storica sinagoga ebraica di Roma, in una delle zone più antiche di Roma, a pochi passo da largo Arenula, e roccaforte di molti noti personaggi di origine ebraica, quali, ad esempio, il noto volto di La7, Enrico Mentana, che vive assieme alla sua compagna, Francesca Fagnani, proprio nel ghetto ebraico.
L’occasione era la celebrazione del 7 ottobre del 2023, quando Hamas iniziò una serie di attacchi contro lo stato di Israele che sin dal primo momento per gli osservatori un po’ più attenti ha destato subito delle perplessità sia per le modalità che potremmo definire piuttosto “cinematografiche”, considerato l’utilizzo dei parapendii da parte di Hamas, sia per il fatto che varie inchieste hanno dimostrato che quel giorno i primi ad aprire il fuoco sugli israeliani che si sono radunati al festival di Nova sono stati proprio gli uomini delle forze armate israeliane che hanno fatto una carneficina dei loro stessi compatrioti.
Il discorso, evidentemente, si potrebbe già chiudere qui poiché se è provato che sono stati i soldati israeliani ad uccidere in larga parte le persone radunatesi al festival, non siamo di fronte ad alcun “attacco terroristico” ma di fronte al più classico dei “false flag”, ovvero quelle operazioni di falsa bandiera attuate dai servizi segreti, e nelle quali il Mossad vanta una lunga esperienza, a partire da quelle nei quali le barbe finte israeliane hanno pilotato il fenomeno del terrorismo islamico per arrivare al raggiungimento dei propri fini politici e geopolitici, come l’eliminazione dei propri avversari e l’espansione dei confini di Israele.
Senza poi parlare della questione relativa ad Hamas, una vera e propria creatura dello stato ebraico, i cui protagonisti hanno candidamente ammesso di aver finanziato e aiutato pur di togliere dalla scena la vera opposizione dell’OLP di Yasser Arafat ispirata invece alla filosofia politica del socialismo arabo, che sotto certi aspetti può considerarsi una derivazione mediorientale del socialismo nazionale del quale Benito Mussolini è stato a tutti gli effetti il caposcuola nel secolo scorso.
Non sono però ovviamente questioni che interessavano ai vari saltimbanchi accorsi a presenziare all’anniversario di questo evento.
A costoro interessava soltanto baciare la pantofola di Israele per rendere omaggio ai veri padroni della democrazia liberale partorita nel secolo dei lumi dagli “intellettuali” francesi quali Voltaire e Rousseau, di stretta obbedienza massonica, e che non ha fatto altro che accompagnare un processo di scristianizzazione dell’Europa per consegnare lo scettro del potere alla finanza ebraica e alla massoneria e ai loro emissari in Parlamento, di centrodestra e centrosinistra, poiché la contrapposizione tra i due blocchi è falsa e controllata dai veri signori della democrazia che da dietro le quinte hanno in mano le redini del potere.
E c’erano proprio tutti lunedì. C’erano i vari esponenti del governo in carica, quali il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per una volta non fuori Roma, c’era Matteo Salvini che già da anni giura fedeltà allo stato ebraico, c’era il neo ministro della Cultura, Alessandro Giuli, c’era il grottesco Bruno Vespa, il decaduto Gianfranco Fini, caduto sulla via di Gerusalemme potremmo dire, c’era l’imbarazzante Carlo Calenda, presidente di un partito fantasma, la ex ballerina Mara Carfagna, oggi sposata ad un avvocato ebreo romano, Alessandro Ruben, e c’erano il sindaco di Roma, Gualtieri, e il presidente della Regione Lazio, Alessandro Rocca.
Era una vera e propria gara ad accorrere al tempio ebraico pur di ribadire che questi personaggi non sono una espressione di una qualche rappresentanza popolare, ma sono appunto l’espressione di quel mondo sionista che ha saldamente in mano la disgraziata Seconda Repubblica.
Mani Pulite: l’origine dell’esplosione del sionismo in Italia
E’ però impossibile comprendere il processo di sionizzazzione, potremmo dire, della politica italiana senza prima prendere in esame il golpe giudiziario di Mani Pulite del 1992.
Quel processo eversivo nel quale i giudici di Milano hanno agito scientemente per rimuovere chirurgicamente una intera classe dirigente, fatta salva l’eccezione del PDS, erede del PCI, è stato del tutto indispensabile per il passaggio dalla Prima Repubblica, nata certamente già sotto pessimi auspici, quali l’infame tradimento di Cassibile e senza mai disporre della piena sovranità, e la Seconda, nella quale il perimetro della sovranità si è ristretto ancora di più e dove la politica con la P maiuscola è stata sostituita da impresentabili controfigure e magnati quali Berlusconi che hanno provato a riempire il vuoto per salvare i propri interessi di bottega, e quando si è trattato di scegliere tra questi e quelli del Paese, si veda il 2011 e il golpe di Napolitano, non hanno esitato ad eseguire le indicazioni dei centri del potere sovranazionale.
La Prima Repubblica, come detto, non aveva una sua piena sovranità ma aveva dei politici veri che non erano dei semplici gregari ai quali consegnare i vari ordini da eseguire, ma erano dei professionisti della politica per l’appunto che avevano a cuore le sorti della nazione, e non volevano che questa fosse ridotta ad un cortile dell’anglosfera e dello stato ebraico.
Non sono stati in pochi a pagare con il sangue la scelta di volersi spingere al di là del perimetro, ed è questa la sorte occorsa ad Enrico Mattei, condannato a morte dalla CIA per la sua volontà di rompere l’oligopolio petrolifero delle sette sorelle nelle mani dei vari signori del petrolio, quali la famiglia Rockefeller, e Aldo Moro, che aveva un’ambiziosa visione geopolitica in base alla quale l’Italia avrebbe dovuto affrancarsi dalla NATO non certo per entrare nell’URSS, ma per scegliere la sua personale strada nel blocco dei non allineati, in modo così da uscire dalla falsa contrapposizione di quel periodo storico.
Sono stati uomini che hanno avuto una visione di troppo ampio respiro e troppo indipendente da coloro che concepirono la repubblica di Cassibile, che sin dal primo istante è stata etero diretta da Washington, Londra e Israele, ma che nonostante tutto riusciva sempre in qualche modo ad opporsi e a cercare una propria strada al di fuori di quel recinto.
Ed è quello che fecero uomini come Giulio Andreotti che già tra la fine degli anni’70 e degli anni’80 era molto vicino alla causa palestinese tanto da ricevere calorosamente in Parlamento il leader dell’OLP, il citato Yasser Arafat, oppure come fece anche Bettino Craxi quando nel 1985 in carica come presidente del Consiglio si alzava di fronte all’aula di Montecitorio e ribadiva fermamente che la lotta armata dei palestinesi non era “terrorismo” ma una legittima resistenza da parte di chi da ormai 76 anni subisce una occupazione illegale.
Si potrebbe dire che in quella Prima Repubblica non c’era una goccia di sionismo, ma ad essere diverso era tutto l’impianto della politica.
I politici di professione sapevano cos’era l’arte della politica, avevano una vasta cultura generale e una conoscenza profonda delle relazioni internazionali, ma soprattutto non mettevano il loro Paese all’asta come facevano i loro indegni successori.
La differenza tra Prima e Seconda Repubblica si può riassumere qui. I politici della prima stagione della storia repubblicana avevano un rapporto vero e autentico con il popolo, poiché erano realmente eletti da questo e c’erano altissime percentuali di partecipazione al voto.
Non erano passacarte calati dall’alto dei vari centri del potere sovranazionale. Non erano degli sgabelli sui quali si siede la tecnocrazia come lo sono i “politici” che hanno preso il loro posto.
Erano uomini legati al territorio e avevano tutto l’interesse a far sì che i propri elettori stessero bene e ricevessero i benefici di una economia mista e dello stato imprenditore, a differenza invece di quelli della Seconda Repubblica che invece sono slegati dal territorio e che ora sono persino scesi sotto la soglia della partecipazione del 50 + 1 al voto, a dimostrare chiaramente come ormai la classe “dirigente” uscita dal golpe del 1992 non rappresenti davvero più nessuno, se non sempre più ristretti grumi clientelari e i vari signori del mondialismo, che tra l’altro ora stanno perdendo tutto il potere acquisito nel secolo scorso.
La ratio del golpe di Mani Pulite è da ricercarsi solo e soltanto qui. L’Italia andava accompagnata sul patibolo dell’Unione europea e del Nuovo Ordine Mondiale, e doveva esserci quel progressivo processo di perdita di sovranità che si è visto negli ultimi 30 anni con la perdita della sovranità monetaria e delle leve della politica economica.
Non poteva esserci di mezzo, di conseguenza, una classe dirigente che avesse a cuore le sorti del Paese e che non fosse disposta a mettere all’asta il Paese come avvenuto a bordo del panfilo della regina Elisabetta, sopra il quale il commissario della svendita nazionale, Mario Draghi, liquidava l’industria pubblica senza avere nemmeno alcun mandato governativo, una circostanza ovviamente ignorata dalla magistratura che lasciò tranquillamente consumare quel tradimento a danno dell’Italia e del suo popolo.
La magistratura invece era impegnata ad eseguire la rivoluzione colorata che aveva come obiettivo primario proprio quello, guarda caso, di togliere dalla scena quei protagonisti che negli anni precedenti avevano saputo dire di no all’anglosfera e ad Israele, e i due bersagli privilegiati furono proprio i citati Bettino Craxi e Giulio Andreotti.
Mentre il pool di Mani Pulite si interessava a tangenti che non valevano nemmeno il 5% del patrimonio industriale liquidato da Draghi, e mentre Falcone veniva massacrato assieme alla sua scorta a Capaci quando era vicino a scoprire il riciclaccio di fondi neri dal PCUS al PCI, i giudici perseguivano Bettino Craxi che per primo lanciò l’allarme sulla svendita e denunciò quegli avvoltoi della finanza quali George Soros che erano piombati per cibarsi degli organi vitali dell’Italia e della sua economia.
Sorte forse ancora più infame toccò a Giulio Andreotti che dopo essere stato il presidente del Consiglio negli anni’80 che aveva partorito la più draconiana legislazione antimafia e dopo aver nominato Falcone direttore degli Affari Penali, silurato dal CSM e chiamato “guitto” da Repubblica, venne accusato di mafia da parte di alcuni pentiti che erano rimasti in silenzio per decenni, fino a quando nel 1994 iniziarono improvvisamente a parlare per poi tirare fuori delle versioni piene di buchi e contraddizioni come rilevò correttamente il primo grado del processo, che venne poi magicamente ribaltato fino ad arrivare all’incredibile dictu della Cassazione secondo la quale Andreotti sarebbe stato “mafioso” fino al 1980 per poi misteriosamente redimersi.
La giustizia italiana è questa qui. E’ il guazzabuglio uscito dalla carta costituzionale scritta da diversi massoni che hanno concepito una magistratura in pratica al di fuori dello Stato e che non risponde mai delle sue innumerevoli malefatte, perché, in fin dei conti, fa comodo ai vari poteri massonici e atlantici avere un corpo a propria disposizione separato dal controllo degli altri organi dello Stato.
Mani Pulite è stata possibile perché lo stesso fallace impianto della costituzione ha partorito questa classe di giudici che ormai è fuori controllo e che, non differentemente dalla classe politica, necessita un totale e profondo rinnovamento.
Non si poteva perciò non arrivare, viste le premesse, al punto nel quale siamo arrivati oggi, ovvero quello in cui i politici veri e autentici di una volta che sapevano dire di no allo stato ebraico, come Craxi e Andreotti, sono spariti per essere appunto sostituiti da queste imbarazzanti comparse che non sanno fare altro che indossare la kippah.
Se l’avanzamento verso il Nuovo Ordine Mondiale che si è visto all’inizio degli anni’90 prevedeva e prevede il dominio dello stato ebraico su di esso, non poteva non esserci di conseguenza quel processo di israeliazzazione dell’Italia citato prima.
Si dice poi che la simbologia spesso sintetizzi al massimo i processi politici o le idee filosofiche, e quale esempio più lampante, a questo proposito, della menorah esposto a Montecitorio, salvo quei ridicoli personaggi che hanno provato a negare l’evidenza più lapalissiana.
La menorah di fronte a Montecitorio
E’ triste vedere poi come tale abbrutimento abbia investito anche la Chiesa Cattolica che dopo il Concilio Vaticano II assomiglia sempre di più ad una chiesta protestante ed ebraica, e ciò spiega anche il timore proprio di un esponente della comunità ebraica, quale il rabbino Di Segni, che teme il ritorno del tradizionalismo cattolico perché sa bene che se ciò avviene cala definitivamente il sipario sul potere del sionismo.
E’ una malattia quella della quale stiamo parlando che si è via via estesa sempre di più fino al punto attuale, nel quale ormai la distanza tra la politica e il popolo è troppo ampia, e quando ciò avviene non si può non arrivare al punto in cui il vecchio status quo è destinato inevitabilmente a fallire.
La transizione tra Prima e Seconda Repubblica è servita ad accentrare indubbiamente il potere di Israele e dell’anglosfera, ma il problema presente dei saltimbanchi senza rappresentanza è che quello status quo sovranazionale oggi non esiste più, perché non siamo negli anni’90 e nel secolo dell’impero anglosionista, ma siamo nel secolo della fine dell’impero e del declino dello stato ebraico.
Lo stesso stato ebraico che un tempo metteva a ferro e fuoco il Medio Oriente per anni oggi si ritrova inerme di fronte al massiccio bombardamento dell’Iran che ha umiliato di fronte al mondo Israele.
Stessa sorte toccata all’impero americano smantellato per volontà di Donald Trump che ha deciso di separare la politica estera americana da quella di Israele, e ha condannato quindi all’inevitabile isolamento Tel Aviv, che oggi non solo non è più in grado di seguire la sua agenda sionista, ma che si trova in un delicato momento della sua storia, dal quale non si sa nemmeno bene in quali condizioni ne verrà fuori.
La Seconda Repubblica pertanto, considerato il nuovo equilibro, non può evidentemente sopravvivere dato che sono venute le indispensabili condizioni che ne assicuravano l’esistenza.
Non è chiaro se lo sanno i vari figuri che si sono visti in sinagoga lunedì. Probabilmente sì, ma poco cambia.
Sono nati baciando la pantofola di Israele, e moriranno allo stesso modo.
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