Gps oscurato nel mar Baltico, blackout in Polonia, interruzioni dal Pakistan al Corno d’Africa: la disconnessione globale non è più materia da fantascienza e i Paesi stanno correndo ai ripari
L’Error 404 globale non è dietro l’angolo.Ma la disconnessione come arma (quasi) letale non è più solo materia di romanzi fantascientifici e dibattuti tra scienziati.
Sia pure temporaneamente, allora, a un mondo senza Internet esiste il rischio di doversi abituare. Trovando al più presto sia pur limitate alternative. Un esempio di risposta arriva dal Regno Unito, dove per rispondere a emergenze, per la sicurezza in mare, si starebbe affiancando alla strumentazione elettronica il servizio Loran, un sistema di radionavigazione che sfrutta i segnali radio.
Gli stop alla connessione globale e continua sono molto più facili da ottenere di quanto i non addetti ai lavori credevano fino a poco fa. Servono strumentazioni sofisticate ma possono bastare anche piccoli droni civili adattati a uso militare. Nel mirino finiscono infatti sia i sistemi globali di navigazione satellitare (lo statunitense Gps o l’europeo Galileo, nel campo occidentale) sia i cavi adagiati sui fondali marini o celati dalle sabbie dei deserti attraverso i quali passa quasi la totalità del traffico dati mondiali, insomma la spina dorsale di Internet.
Le interruzioni
A partire da dicembre tra la Polonia, la Svezia e i Paesi Baltici si sono succedute interruzioni sul sistema di posizionamento e navigazione satellitare. A patire il blackout anche grandi città come Varsavia e Lodz. I problemi sono arrivati al culmine, per ora, la domenica di Pasqua e i giorni immediatamente successivi. Il disturbo ha avuto per epicentro il mar Baltico provocando conseguenze su numerosi Paesi dell’area in particolare nel trasporto aereo, creando ritardi, modifiche nei piani di volo, annullamento di viaggi a oltre 1.600 velivoli.
A finire sotto accusa è stata la Russia che nel porto di Kaliningrad (l’exclave schiacciata tra Polonia e Lituania) da tempo userebbe il sistema automatizzato di disturbo e schermamento Borisoglebsk-2. Questo sistema appartiene a una serie di armamenti di ultima generazione a disposizione di Mosca. Una disponibilità che comprende armi a micro-onde dirette per procurare effetti nocivi ai sistemi (e alle persone) tramite radiazioni ad alta frequenza; armi a impulsi di energia elettromagnetica per danneggiare equipaggiamenti elettronici e dispositivi digitali; Jammer elettromagnetici per bloccare i segnali di comunicazione.
A questi mezzi la Russia lavora fin dagli inizi dello scorso decennio attraverso programmi di ricerca mirata studiati e condotti, tra gli altri organismi, dalla Fondazione per la ricerca avanzata e dal dipartimento Ricerca e supporto tecnologico nelle tecnologie avanzate del ministero della Difesa, che sarebbero già passati alla fase di integrazione dell’Intelligenza artificiale nel sistema di difesa e sicurezza. Le operazioni di disturbo nell’area baltica sarebbero servite principalmente a oscurare esercitazioni e attività militari. Solo russe? Mosca nega. Analisti polacchi e fonti dell’intelligence hanno attribuito i problemi alla rete satellitare nell’area baltica anche alla necessità di proteggere movimenti di forze e attrezzature da parte di Paesi appartenenti alla Nato.
L’auto-oscuramento
In un’altra area di crisi, il Medio Oriente, si starebbero sperimentando le interruzioni nelle trasmissioni come misura di sicurezza in Israele e in altri Paesi, quali l’Iran. Anche su questo fronte la Russia avrebbe fatto scuola sperimentando da tempo attività di auto-oscuramento. Tali operazioni sono, però, difficili da decifrare: talvolta possono essere dei blackout causati dall’esterno presentati come operazioni pilotate dall’interno per nascondere eventuali debacle.
L’interruzione dei sistemi satellitari di navigazione non avviene però solo nei teatri di guerra. Lo spegnimento di Internet per reprimere il dissenso politico, oscurare iniziative delle opposizioni, chiudere il Paese all’informazione esterna e orientare il voto sarebbe stato adoperato in Pakistan, Senegal, Isole Comore.
Sui fondali
Meno clamore hanno suscitato in Europa i danneggiamenti ai cavi sottomarini che portano fibre ottiche, posati sui fondali del Mar Rosso. Eppure hanno provocato gravi problemi di connessione Internet nel Corno d’Africa, nel Golfo Persico, in India. Sono stati accusati del sabotaggio i ribelli yemeniti Houthi, che si sono affrettati a smentire. E la pratica è stata chiusa. Ma nel mondo ogni anno i danneggiamenti del genere sono centinaia, perlopiù a opera di reti peschiere. Ufficialmente. Ma i governi e le società private ci stanno sempre più attenti.
Per quanto paradossale possa apparire nell’epoca della digitalizzazione e della smaterializzazione, la quasi totalità dei dati mondiali, delle email, delle chiamate, delle trasmissioni passa attraverso circa 600 cavi della lunghezza complessiva di 1,5 milioni di chilometri e dal diametro di pochi centimetri molto delicati.
I governi e le società private sono sempre più attenti a questa rete. La sicurezza dei cavi non è semplice. Un sistema già in uso è quello di moltiplicare i condotti. Più costosa e complicata la nascita di percorsi alternativi, attraverso territori impervi, come i deserti. Anche la loro fabbricazione va tenuta sotto controllo. Durante i processi di produzione potrebbero essere inseriti nei cavi dei backdoor, codici o segnali di comando, in grado di estrarre i dati senza manometterli. L’Unione europea ha da poco invitato i Paesi membri a evitare fornitori ad alto rischio. Come la Cina.
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