Sotto gli affreschi della cupola del Campidoglio americano eseguiti dal maestro Costantino Brumidi si fa la storia.
Brumidi dipinse nel 1865, alla fine della guerra civile americana, l’opera nota come “Apoteosi di Washington” dedicata al primo presidente e padre fondatore degli Stati Uniti d’America, George Washington.
160 anni dopo va in scena un’altra apoteosi, quella di Donald J. Trump che quando fa il suo discorso di fronte alla platea che si è radunata nella rotonda del Campidoglio appare visibilmente emozionato.
Trump ha perfettamente ragione quando afferma che quello che ha dovuto subire lui non è mai stato subito da nessun altro presidente americano.
Nessun altro capo di Stato americano ha dovuto subire intrighi di palazzo e golpe internazionali quali i famigerati Spygate e Italiagate, né nessun altro presidente ha mai subito così attentati alla sua persona come li ha subiti lui.
L’attentato dello scorso luglio in Pennsylvania nel quale l’aspirante assassino Thomas Crooks, un giovane di origini ebraiche, cercò di ucciderlo con una pallottola in testa è soltanto la punta del più classico degli iceberg, così come lo è quello di Ryan Routh, altro aspirante assassino di Trump legato agli ambienti del Pentagono e della CIA.
Nessuno ricorda l’attentato, ad esempio, del gennaio 2021 quando un drone si avvicinò alla finestra della camera di letto di Trump a Mar-a-Lago e contro la quale sparò un proiettile che non colpì il presidente soltanto perché mesi prima questi aveva fatto installare una vetrata antiproiettile nella stanza che gli ha salvato la vita.
Nessuno ricorda allo stesso modo gli altri due attentati dell’agosto del 2020 quando un misterioso cecchino sparò contro l’elicottero di Trump seguito poi qualche settimana dopo da un drone che stava andando a schiantarsi contro l’Air Force One.
Oltre agli attentati alla sua vita, vanno aggiunte, purtroppo, le infami pagine “giudiziarie” che sono state scritte contro il presidente, l’unico a subire due messe in stato di accusa, entrambe fondate su motivazioni giuridiche a dir poco inesistenti che non avevano altro scopo che quello, ancora una volta, di rovesciare il legittimo comandante in capo attraverso l’ennesimo golpe.
Gli Stati Uniti scelti dalla massoneria per il disegno globalista
Si potrebbe dire che le forze della rivoluzione permanente che avevano in mano Washington hanno fatto di tutto pur di togliere a Trump il comando della superpotenza americana che nell’ottica di dominio del pianeta che governa i poteri mondialisti e sionisti è senz’altro il pezzo più importante per vincere la partita.
Se si leggono le pagine di un saggio del 1944 scritto da Manly P. Hall, uno dei massoni più influenti della storia assieme ad Albert Pike, intitolato “Il destino segreto dell’America” si ha comprende qual erano i piani che la massonerie tenevano in serbo per la nazione americana.
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Hall spiega appunto come l’America nell’ottica della libera muratoria sia la nazione deputata ed eletta per la costruzione del Nuovo Ordine Mondiale, che nelle logge è sempre stato chiamato sin dall’1700 come Novus Ordo Seclorum.
Attraverso questa espressione non si intende altro che quel disegno che aspira alla repubblica universale della quale vagheggiavano il citato Pike, il suo sodale e potente massone Mazzini, senza dimenticare tutta l’altra folta schiera di liberi muratori come Adriano Lemmi, Lord Palmerston, Winston Churchill e il conte Kalergi.
E un “sogno” di tirannia che aspira a dominare il mondo e rimuovere l’esistenza di ogni singola nazione per instaurare al loro posto una governance globale tecnocratica nemica certamente dell’uomo, ma prim’ancora di Dio, considerata la intrinseca natura anticristiana e luciferiana che domina i vari ambienti massonici e globalisti.
Trump è contro questi poteri che si è dovuto scontrare.
Sono quelli che negli ultimi 200 anni hanno avuto in mano le sorti dell’Europa e degli Stati Uniti.
Trump rappresenta un punto di rottura, una interruzione al continuum di un lungo periodo storico iniziato con la seconda guerra mondiale.
Negli ultimi 80 anni ci si è trovati di fronte ad un’America imperialista e imperiale che ha messo a disposizione la sua vasta forza militare e finanziaria non certo per assicurare la pace e la stabilità tra le nazioni, ma per non far crescere più l’erba nei giardini di quei Paesi che hanno osato dire no all’impero e al mondialismo che voleva e vuole fagocitare ogni singola sovranità nazionale.
La seconda guerra mondiale è a tutti gli effetti il processo storico e politico che suggella per questa ragione la fine dello stato nazionale.
L’anglosfera che scrisse le regole dei vincitori a Bretton Woods nel 1944 e a Yalta nel 1945 aveva già stabilito in quel preciso istante la fine della singole sovranità nazionali e l’inizio di un’epoca di commissariamenti e di nazioni a sovranità limitata.
L’Italia per prima ne sa qualcosa.
Perduta la sua sovranità sotto la tenda di Cassibile, l’Italia si è trovata in una condizione di sovranità limitata che è stata irreggimentata e protetta attraverso la lunga scia di sangue della strategia della tensione culminata nel golpe giudiziario del 1992, nel quale il governo dello stato profondo di Washington decise di liberarsi di una classe politica troppo indipendente per le esigenze della governance e sostituendola con la peggiore e presente risma di saltimbanchi e traditori della patria che questa nazione ricordi.
Lo status quo della Washington imperialista aveva portato persino qualche illuso a credere che ormai tale ordine fosse divenuto immutabile.
E’ quanto capitò, ad esempio, a Francis Fukuyama, il celebre intellettuale liberale giapponese, che scrisse nel 1994 che ormai il corso della storia si era esaurito con l’affermazione dell’impero americano.
30 anni dopo il liberale giapponese sembra quasi fare mea culpa e si duole che l’Occidente liberale stia tramontato perché l’epoca di Donald Trump ha messo fine all’America nata a Bretton Woods nel 1944.
Gli Stati Uniti stanno tornando a poco a poco alla loro dimensione originaria di nazione certamente dominante ma non più oppressiva come lo è stata dal dopoguerra in poi.
L’America delle origini contro l’alta finanza
L’America attuale assomiglia a tutti gli effetti sempre più a quella della prima metà dell’800 quando i suoi presidenti iniziarono a combattere contro quella piovra finanziaria che voleva a tutti i costi controllare questa giovane nazione, ben conscia che chi avrebbe avuto in mano gli Stati Uniti avrebbe avuto in mano le sorti del mondo intero.
Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti dal 1829 al 1837, è stato il primo capo di Stato americano che ha iniziato a combattere la guerra per liberare l’America dal cappio dei poteri finanziari che volevano sottometterla.
A stampare il dollaro americano all’epoca di Jackson non una era banca centrale di proprietà dello Stato e governata dal Tesoro americano, ma la Second Bank of the United States, una corporation privata nelle mani di banchieri americani ed europei, soprattutto la famiglia Rothschild che all’epoca aveva già affermato il suo status di signora della finanza europea.
Gli Stati Uniti non avevano, e ancora formalmente non hanno, una vera banca centrale nelle mani dello Stato ma una banca privata che assolve alle funzioni della banca centrale e che controlla l’offerta di moneta nel Paese.
Andrew Jackson era deciso a mettere fine a questa condizione di schiavitù monetaria, che assicurava a questa banca la possibilità di stampare dollari americani e alla fine riuscì nel suo intento attraverso la fine dell’accorso stabilito dal suo predecessore Hamilton.,
Jackson era così soddisfatto dell’impresa che decise di far scrivere sulla sua tomba l’epitaffio “Ho ucciso la banca” per far ricordare ai posteri l’epocale battaglia da lui combattuta.
I Rothschild però non mollarono la presa nemmeno negli anni successivi alla morte di Jackson e ancora una volta si adoperano per avere il controllo della moneta di questa nazione.
Mayer Amschel Rothschild, il capostipite della famiglia ebraica di Francoforte, spiegò molto chiaramente perché era fondamentale avere in mano la moneta di un Paese.
Non ha importanza alcuna chi ha il potere legislativo fino a quando si ha in mano la facoltà di stampare moneta.
Oggi l’Italia ed altre nazioni europee si trovano esattamente nella condizione di colonie finanziarie per tale ragione, perché non dispongono della facoltà di stampare la loro moneta da quando l’hanno rimessa nelle mani della BCE, una banca centrale anomala che emette esclusivamente l’euro e che non risponde ai governi europei.
La strategia di dominio del capitale finanziario, come si vede, è rimasta immutata negli ultimi 200 anni.
I meccanismi di colonizzazione sono sempre gli stessi e questo spiega perché i Rothschild e le altre famiglie della finanza europea si siano dati da fare così tanto per controllare l’offerta di moneta in America.
Abraham Lincoln e il dollaro emesso dallo Stato
Lincoln era un altro presidente determinato a non rendere la sua nazione schiava della finanza e ancora oggi i vari storici liberali offrono una visione distorta, se non apertamente falsa, delle ragioni che portarono alla guerra civile.
A spiegare come la guerra civile americana sia stata in realtà decisa molti prima del 1861 e come questa non avesse nulla a che fare con la liberazione degli schiavi è stato, tra gli altri, il cancelliere tedesco Otto Von Bismarck che nel 1876 pronunciò queste parole.
“La divisione degli Stati Uniti in federazioni di forza uguale è stata decisa molto tempo prima della Guerra Civile dagli alti poteri finanziari d’Europa. Questi banchieri avevano paura che gli Stati Uniti, se fossero rimasti un blocco unico e un’unica nazione, avrebbero guadagnato prosperità economica e finanziaria che avrebbe sconvolto il loro dominio finanziario sul mondo. La voce dei Rothschild ha prevalso. Hanno previsto l’immenso bottino se avessero potuto sostituire due deboli democrazie, indebitate con i finanzieri, alla vigorosa Repubblica, fiduciosa e autonoma. Hanno iniziato pertanto ad usare i loro emissari per sfruttare la questione della schiavitù e scavare un abisso tra le due parti della Repubblica.”
Ancora oggi la storiografia liberale racconta che il casus belli della guerra civile fu sulla questione della liberazione o meno degli schiavi, quando questo fu soltanto il pretesto che i vari provocatori della finanza europea utilizzarono per alimentare il conflitto tra l’Unione e il Sud nella speranza così di poter instaurare il loro dominio su entrambi i Paesi divisi.
Abraham Lincoln stesso dichiaro inequivocabilmente che non era il suo fine quello di abolire la schiavitù, ma che in realtà il suo vero scopo era quello di salvare l’unità della Repubblica e se ciò avesse voluto dire lasciare al suo posto la schiavitù, lo avrebbe fatto senza alcuna esitazione.
Lincoln voleva completare il percorso di sovranità e indipendenza finanziaria iniziata dal suo predecessore, Andrew Jackson.
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Abraham Lincoln
Non voleva una nazione costretta ad elemosinare il denaro di cui aveva bisogno da una banca privata nelle mani di un manipolo di speculatori privati.
Voleva una nazione che fosse in grado di emettere tutto il denaro di cui aveva bisogno.
Questo lo spinse a creare il celebre green back, il dollaro emesso direttamente dal Tesoro americano che veniva stampato senza alcuna intermediazione con istituzioni bancarie private.
Se si leggono le sue parole, ancora oggi suonano di una straordinaria attualità.
“Il governo dovrebbe creare, stampare e mettere in circolazione tutta la moneta e tutto il credito necessario per soddisfare la capacità d’acquisto del governo e il potere d’acquisto dei consumatori. Il privilegio di creare e stampare moneta non è soltanto la prerogativa suprema del governo, ma è la più grande opportunità creativa del governo. Attraverso l’adozione di questi principi, i contribuenti risparmieranno immense somme di interesse. Il denaro cesserà di essere il padrone e diverrà il servo dell’umanità.”
La famiglia Rothschild voleva ovviamente capovolgere il principio enunciato da Lincoln e voleva che le nazioni fossero schiave del denaro e non viceversa.
L’alta finanza non poteva permettersi di lasciare al suo posto un presidente che aveva come unica aspirazione quella di sottrarre l’America dalle grinfie dei potenti banchieri europei ed è così che decisero di uccidere Lincoln dopo che questi aveva conquistato il suo secondo mandato.
Il 14 aprile del 1864, a soli 41 giorni di distanza dalla sua inaugurazione, John Wilkes Booth uccide il presidente americano a colpi di pistola al Ford Theater.
A fare luce su quel delitto molti anni dopo, nel 1943, fu un avvocato canadese, Gerald G. McGeer, che rivelò, dopo essere entrato in possesso dei documenti del servizio segreto americano, al quotidiano canadese Vancouver Sun come l’omicidio Lincoln fu deciso dai banchieri internazionali che volevano a tutti i costi mettere fine al suo programma di indipendenza economica e monetaria degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono stati in guerra contro questi poteri, come le altre nazioni europee, per tutto il corso della loro storia e la presidenza Trump oggi riporta indietro gli Stati Uniti a 160 anni fa, quando il suo presidente dell’epoca, Abraham Lincoln, decise di difendere la sovranità del suo Paese contro quei poteri finanziari che volevano schiavizzare la sua nazione.
Gli Stati Uniti di Trump: il ritorno alla nazione sovrana
Il passaggio che si è compiuto attraverso Trump è quello che ha visto gli Stati Uniti dismettere i panni della nazione impero per tornare a quelli di potenza non ostile alle altre nazioni e che vuole coesistere pacificamente con gli altri senza inseguire più il proposito di costruire la governance globale.
E’ un passaggio epocale e la fase presente può definirsi come l’ultima parte dell’attuazione di questo guerra per la liberazione.
E’ la fase nella quale vengono recisi gli ultimi legami con l’impalcatura del globalismo necessari per tornare alla dimensione di nazione sovrana perduta tra la fine dell’800 e l’inizio dell’900, quando venne creata la FED, un’altra banca centrale governata da famiglie quali i già citati Rothschild, assieme agli immancabili Warburg, Rockefeller e Morgan.
Trump ora ha questo compito.
Passare il Rubicone della storia. Portare gli Stati Uniti dall’altra parte e accompagnare il Paese verso la definitiva emancipazione dagli istituti della governance.
Ha già iniziato a farlo il primo giorno nel quale si è insediato ufficialmente. E’ stata già deliberata l’uscita dall’OMS e il prossimo passo sembra essere quello di infliggere i dazi all’Unione europea e di alzare la posta per il contributo di spesa ai vari Paesi della NATO, ai quali Trump chiederà di spendere almeno il 5% del PIL per mantenere l’organizzazione atlantica.
Trump ha già fatto sapere che se tale richiesta non verrà rispettata allora gli Stati Uniti lasceranno il Patto atlantico, ben consapevole che molti Paesi non saranno mai in grado di adempiere a tale soglia.
Il ritorno agli Stati Uniti come nazione sovrana e libera non porterà altro che di conseguenza alla fine dell’Euro-Atlantismo e alla caduta dell’UE che già afferma chiaramente che teme di essere schiacciata da tale processo come effettivamente sarà.
Non ci sono possibilità infatti per l’Unione di restare a galla senza il sostegno militare ed economico americano.
Si va inevitabilmente verso la fine della supremazia degli imperi e delle sovrastrutture globaliste.
Si va verso la supremazia degli Stati nazionali simile all’ordine stabilito a Vestfalia nel 1648.
Cala il palcoscenico sul mondialismo, sull’Unione europea e, inevitabilmente, sulla Repubblica di Cassibile.
Si chiude un’epoca storica tormentata e fatta di conflitti permanenti.
Ne inizia un’altra dove le nazioni non saranno più comprimarie, ma torneranno ad essere gli attori principali della storia.
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