Le immagini di ieri sera della Corea del Sud ad un tratto assomigliavano molto a uno di quei film hollywoodiani, uno di quelli ovviamente dove ad indossare i panni dei “cattivi” di turno sono i nemici dello stato profondo americano e di Israele.
Invece purtroppo era tutto vero. Il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol, ha indetto la legge marziale per sopprimere presunte influenze della Corea del Nord verso alcuni deputati che però non hanno affatto gradito la mossa del presidente.
I militari hanno fatto irruzione nel Parlamento sudcoreano, e i vari deputati presenti hanno praticamente respinto all’unanimità la proposta di indire la legge marziale con 190 contrari e 0 favorevoli.
I militari non hanno subito lasciato l’aula, in quanto per le forze armate quell’ordine era valido fino a quando il presidente non lo avesse ritirato, ma lo stesso Yeol dev’essersi convinto che la sua mossa non era praticabile e allora, nel giro di poche ore, è stato proprio lui a ritirare l’ordine impartito poco prima.
Adesso il tavolo rischia di essere rovesciato poiché i deputati delle opposizioni, su tutti il leader della sinistra progressista Lee Jae-myung, assieme ad altri sei partiti, stanno procedendo per metterlo in stato di accusa per poi giungere, presumibilmente in caso di esito positivo, a nuove elezioni.
La Corea del Sud è una realtà probabilmente non conosciuta a molti in Europa. Questo stato è uno dei figli della guerra fredda.
A quei tempi gli Stati Uniti e l’URSS si spartivano le varie zone di influenza nel mondo, e in Europa la creazione delle due Germanie, quella dell’Ovest e quella dell’Est, era il risultato di tali equilibri, e specularmente, in Asia, la divisione della Corea in due parti, quella del Nord e quella del Sud, è anch’essa una conseguenza dell’assegnazione delle zone di influenze di Washington e Mosca.
La Corea del Sud toccò agli angloamericani e da allora, dal 1948, questo stato può considerarsi a tutti gli effetti come un protettorato dell’anglosfera.
Se c’è una volontà di destabilizzare tale Paese, è da ricercarsi con ogni probabilità negli stessi poteri che ne hanno permesso e controllato l’esistenza nel corso degli ultimi 76 anni, poiché questi adesso ritengono più congeniale ai loro interessi alzare artificialmente le tensioni in questa zona del mondo per arrivare poi ad uno scontro con il grande spauracchio della Corea del Nord, da sempre sulla lista nera dello stato profondo americano e dello stato di Israele.
La Corea del Sud però non è l’unica zona del mondo dove si stanno alzando artificialmente le tensioni.
Sono in corso diversi tentativi di destabilizzazione da parte di ambienti Euro-Atlantisti che da lungo tempo aspirano a creare un caos generalizzato e pianificato, indispensabile per arrivare al successivo scontro tra quelle grandi potenze così tanto anelato da quegli stessi ambienti massonici e mondialisti che hanno seminato morte e distruzione ovunque nel mondo il secolo passato e anche nei primi anni di quello presente.
La strategia del caos pianificato del mondialismo
Albert Pike e Giuseppe Mazzini, entrambi massoni di alto grado, spiegarono nella loro corrispondenza privata a cosa serve la logica del caos.
La logica del caos è essenziale per scatenare crisi e guerre artificiali senza le quali non esiste alcuna possibilità di togliere di mezzo le nazioni e accentrare tutto il potere nelle mani del moloch del Nuovo Ordine Mondiale.
Questi cospiratori hanno scelto il motto ordo ab chaos perché esprime al meglio, o al peggio, tutta la loro folle filosofia.
Oggi si assiste ancora una volta alla messa in scena di tale logica del caos con la rilevante eccezione che in questa fase il mondo non va verso una fine delle sovranità nazionali, ma piuttosto verso un loro ritorno sulla scena politica.
I classici perni di questo sistema di potere, Washington, Londra e Tel Aviv, hanno chiaramente perduto larga parte della loro influenza e allora resta poco da fare se non provare a mettere in atto dei sabotaggi che difficilmente potranno in qualche modo cambiare il processo iniziato negli ultimi anni.
Ciò nonostante gli architetti del caos ormai in preda al delirio degli sconfitti si giocano il tutto per tutto, e nel giro di un mese si è potuta vedere questa loro volontà destabilizzante.
Gli scenari delle crisi indotte: Ucraina, Siria e Georgia
Il teatro di guerra ucraino è stato soltanto il primo tentativo di disordine generalizzato che tali poteri hanno tentato di provocare quando Londra, da sempre centrale della destabilizzazione internazionale, si è adoperata per aiutare il regime nazista di Kiev ad attaccare il territorio russo attraverso i missili a lungo raggio, gli ATACMS.
Non si cerca tanto di ribaltare un conflitto che non si può ribaltare, in quanto la guerra sul campo è stata già vinta da un pezzo dalla Russia.
Si cerca, ancora una volta, la crisi generale attraverso una reazione della Russia ed in una successiva programmata risposta della NATO, la quale, in tale scenario, ricorrerebbe all’articolo 5 del Patto per costringere così tutti i Paesi membri a partecipare ad una guerra contro la Russia.
Tale scenario però per gli atlantisti appare difficilmente percorribile perché la potenza dominante della NATO, gli Stati Uniti di Trump, sono proprio i primi che non vogliono uno scontro contro la Russia e questo rende impossibile una escalation contro il Cremlino, ma anzi favorisce lo scenario opposto, quello di una chiusura della guerra in Ucraina e del riconoscimento delle zone riconquistate dalla Russia.
Gli architetti del caos forse coscienti che le possibilità di arrivare ad una crisi generale in Ucraina erano ridotte al lumicino, hanno posato lo sguardo su una zona del mondo dove già negli anni precedenti hanno seminato non poca morte e distruzione, ovvero la Siria di Assad.
E’ qui che nelle ultime settimane c’è stata quella che si può definire una recrudescenza, seppur non troppo intensa, dei cosiddetti terroristi islamici dell’ISIS, dietro i quali in realtà ci sono sempre state delle potenze che avevano tutto l’interesse ad armarli e a lanciarli contro quei Paesi considerati da sempre nemici da Israele.
L’ISIS infatti è poco più che un marchio dietro il quale si annida una commistione ed un intreccio di molteplici interessi geopolitici di entità quali lo stato profondo di Washington, Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia.
A finire sul banco degli imputati per questo ritorno di fiamma dei tagliagole islamici è stata soprattutto la Turchia di Erdogan che attraverso una delle sue consuete giravolte ha consentito a questi terroristi di entrare in Siria e di iniziare un’offensiva su Aleppo che comunque è destinata a durare ben poco, considerato che il numero degli islamisti è ben più esiguo di quello di 10 anni fa dopo che la Russia ha aiutato Assad a fare piazza pulita dei vari assassini che infestavano il Paese.
Erdogan ha sostenuto l’anglosfera e Israele negli anni addietro per una semplice ragione. Aspira anche lui a prendersi un pezzo della Siria, il Nord, e da quando è iniziata la cosiddetta guerra civile siriana i suoi interessi per lungo tempo hanno coinciso con quelli degli Stati Uniti, prima dell’amministrazione Trump, e con quelli ovviamente dello stato ebraico, il quale a sua volta mira anch’esso allo smembramento della Siria per poi annettersi sue parti e arrivare così al “sogno” della Grande Israele, citata recentemente dal ministro delle Finanze israeliano, Belazel Smotrich.
La partnership tra questi poteri ha conosciuto alti e bassi, fino a quando Erdogan non ha iniziato a stare con il piede in due staffe dopo che l’amministrazione Obama ha tentato di rovesciarlo nel 2016 con un colpo di Stato organizzato dalla CIA, che aveva già pronto il suo sostituto: Fetullah Gulen.
Erdogan e Obama
A Washington evidentemente giudicavano inaffidabile il presidente turco che dopo le precedenti tensioni con la Russia aveva deciso di riavvicinarsi a Mosca, soprattutto perché il Cremlino dopo l’abbattimento dell’aereo russo da parte dei turchi aveva iniziato a seppellire di sanzioni Ankara.
Erdogan così ha cambiato abito, ma sembra indossare ancora però pezzi del vecchio vestito e così la sua natura di doppiogiochista periodicamente riemerge, anche se a Mosca gli hanno fatto capire di essere stufi delle sue continue giravolte.
La crisi in Siria non è altro quindi che un tentativo di provare a destabilizzare quell’area, nella speranza, vana, di rovesciare Assad e di scatenare un più largo conflitto in tutto il Medio Oriente che metterebbe in seria difficoltà Trump e Putin, ansiosi anche qui di chiudere quanto prima i disordini iniziati da Israele, che adesso si trova praticamente isolata sul piano internazionale e con un pugno di mosche in mano dopo la disastrosa campagna in Libano e le umiliazioni subite dall’Iran, ormai vera e propria potenza leader di questa regione.
Allora i seminatori del caos hanno compreso anche qui che non era abbastanza cercare una crisi ed uno scontro in Corea, in Siria ed in Ucraina.
Era necessario cercare nuovamente altri fronti. Così come un disperato giocatore d’azzardo è pronto a giocarsi tutte le sue rimanenti fiche per provare a rifarsi, l’Euro-Atlantismo è in preda alla stessa disperazione, e si lancia in imprese impossibili perché la sua rabbia acceca del tutto la sua lucidità.
Prove tecniche di Euromaidan in Georgia
Ad entrare nel mirino è stata di conseguenza anche la Georgia che dopo essere andata al voto ha deciso di votare per un governo che non ha intenzione di vestire i panni dello stato satellite di Bruxelles, nonostante il presidente georgiano, Salome Zourabichvili, sia praticamente una quinta colonna di Soros e stia facendo di tutto per rovesciare il legittimo governo di Kobakhidze.
In Georgia c’è una situazione sotto certi aspetti non molto dissimile da quella che si vide in Italia nel 2011, quando l’allora capo di Stato, Giorgio Napolitano, cospirò apertamente contro il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per permettere l’insediamento di un governo più gradito a Bruxelles e Washington.
All’epoca il golpe fu ben più semplice perché Kobakhidze non è certo ricattabile sotto il profilo economico come lo era Berlusconi che capitolò per poi trasformarsi del tutto nello zerbino di Bruxelles negli anni a venire.
Anche in tale occasione, l’Unione europea, in pratica l’ultimo fragile bastione del mondialismo, come di suo consueto sta provando ad ingerire negli affari di uno stato sovrano, la Georgia, tanto da minacciare illegali sanzioni contro Tbilisi, perché questa ha la “colpa” di non voler entrare nell’UE e di perdere così la propria sovranità.
Vanno in scena quindi dei patetici tentativi di ricreare un altro Euromaidan come quello già visto in Ucraina 10 anni orsono.
Arrivano nel Paese degli agenti stranieri reclutati per l’occasione dalle solite ONG sorosiane che manifestano davanti al Parlamento georgiano con cartelloni scritti in inglese, dato che questi personaggi non si sono nemmeno dotati di un traduttore georgiano per provare ad apparire un minimo più credibili e per almeno provare a fare finta di avere qualcosa a che fare con la Georgia.
Si è vista da quelle parti persino Greta Thunberg, la isterica ragazzina svedese alla quale è stato dato un copione da recitare da qualche anno, e che adesso viene spostata in Georgia nella speranza di sollevare gli animi di non si sa bene chi, dal momento che la cosiddetta “attivista climatica” è da un bel po’ di tempo indigesta alle opinioni pubbliche Occidentali.
Non sembra però esserci l’aria di un nuovo golpe ucraino in Georgia, perché i forzieri delle casse di Soros, fresco di trapianto di organi ricevuti da un soldato ucraino, piangono e gli Stati Uniti non sono più li ad alimentare la destabilizzazione del Paese e a dare la spallata ad un governo che non è gradito a Bruxelles e agli Euro-Atlantisti.
Il filo rosso che lega ognuna di queste crisi è comunque chiaramente lo stesso. E’ il filo rosso che l’anglosfera e l’impero americano hanno portato in ogni angolo del pianeta per spazzare via tutti quei leader che si erano opposti a questo piano totalitario e alla fine della sovranità dei loro Paesi.
Il biennio horribilis del 2020-2022 serviva per compiere l’ultimo passo verso il totalitarismo mondiale.
Il colpo di stato “pandemico” è stato un feroce assalto per arrivare a quel “riordino” globale autoritario desiderato dal mondialismo e alla società transumanista nella quale l’umanità sarebbe stata ridotta alle condizioni di bestiame, marchiato e controllato da remoto attraverso la tecnologia di ID2020 finanziata da Bill Gates e dalla famiglia Rockefeller, che avevano in programma una somministrazione di massa dei loro microchip.
Non è verso tale scenario che il mondo sta andando, dato che la farsa pandemica è stata smantellata pezzo dopo pezzo, e dopo che gli Stati Uniti si sono opposti ad un prosieguo delle restrizioni nel 2021 tanto da portare ad un successivo ed inevitabile effetto domino che ha portato alla fine delle misure Covid anche in Europa Occidentale.
Gli architetti del caos però assomigliano molto ai nazisti rinchiusi nel loro bunker. Non stanno neanche più di tanto a calcolare le effettive probabilità di riuscita delle loro operazioni.
Come appunto dei giocatori di azzardo si giocano il tutto per tutto, anche con il rischio di peggiorare ancora di più la loro situazione e rafforzare invece l’alleanza di quei leader politici, come Trump e Putin, che sono fermamente opposti al loro piano di costruzione di una governance mondiale.
Alcuni versanti di crisi si stanno già spegnendo come quello ucraino, quello siriano e quello georgiano, e ora resta da vedere come evolverà la situazione in Corea nelle prossime ore.
Intanto questa morente centrale del caos mentre tenta di creare altri crisi, si dimentica di guardare dentro il sempre più incolto giardino di casa propria.
Ieri sera è giunta la notizia della sfiducia del primo ministro francese Barnier, e ora dopo la Germania anche la Francia dovrà andare probabilmente incontro allo scenario di elezioni anticipate.
Trump non si è nemmeno ancora insediato, e la fragilissima UE che si regge sull’altrettanto fragile asse franco-tedesco sta già implodendo per conto suo.
Quella del mondialismo non è soltanto una corsa contro la logica, ma a questo punto anche contro il tempo.
Ogni giorno che passa, ciò che resta del vecchio status quo va in frantumi.
Se continua così, di questo passo già nel 2025 del pericolante edificio globalista dell’anglosfera saranno rimaste soltanto le macerie.
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