di Massimo Selis
Gli intellettuali veri dove sono, gli artisti veri dove sono? Si domandano alcuni, spaesati e agghiacciati da tanto conformismo. Ma il conformismo e la decadenza, in modo specifico nel campo artistico, c’erano anche prima e da molto tempo. Quando l’esistenza non pone all’ordine del giorno questioni di vita o di morte, di libertà o dittatura, ci si accontenta di poco, di vivacchiare e non di vivere.
L’arte è allora un ottimo riempimento di tutti quei vuoti della giornata: un po’ di musica che esce della radio mentre si è nel traffico; qualche canzone “rubata” ad un concerto gratis all’aperto, i video compulsivamente scorsi sul misero schermo di un cellulare. Ma anche lo spettacolo in un teatro, o il film d’autore in un cinema indipendente finiscono solo per solleticare le emozioni o all’opposto alimentare elucubrazioni che non portano a nulla. L’arte era già morente, perché morente era tutta la società.
Oggi ci scopriamo sulla soglia di una dittatura che pochi avrebbero sospettato e corriamo alla ricerca di un “salvatore”, il medico, lo scienziato, il legale di turno. Corriamo, mentre invece dovremmo fermarci. Il malato (la società) non ha alcuna speranza di guarigione se prima non le si fa un’accurata diagnosi e non le si prescrive la giusta cura e riabilitazione. L’Arte non è una suppellettile da poggiare su di un mobile una volta che la casa è già tutta arredata. L’Arte sono le mura stesse dell’edificio, con le loro forme, volumi e colori. È imprescindibile parlare oggi di arte, per salvarla dal suicidio e per tentare di salvare la società tutta.
Nessuno si salva da solo, nemmeno gli artisti. Ognuno quindi deve fare la sua parte, gli uomini di ingegno e il pubblico. Bisogna ripensare perfino i metodi di produzione e di promozione dell’arte per sganciarli il più possibile dagli asfissianti schemi della burocrazia istituzionale. Gli uomini devono sentire l’Arte come qualcosa di vicino e “personale”, qualcosa che finalmente riempie e dà più senso alla propria vita. E se la quasi totalità degli artisti si rende complice di una delle più subdole e invasive forme di dittatura, bisogna allora guardare a quei pochi che non piegano le ginocchia davanti ai ricatti, che cercano nuove strade sapendo di rischiare anche tutto, in prima persona. Si costruisce solo se si è uniti e uniti si cammina.
Negli ultimi mesi, nel sottobosco dell’arte indipendente sono apparsi alcuni germogli che sperano di diventare alberi robusti. Perché si inizia dalle piccole cose e poi si cresce. Anche questo significa educare un pubblico troppo abituato a giudicare favorevolmente solo le opere “importanti”. Se si deve iniziare a costruire, qualcuno deve pur posare il primo mattone.
Le luci di Atlantide è uno di questi germogli, un collettivo che riunisce artisti di varie regioni d’Italia. Il loro primo lavoro visibile online qui https://www.youtube.com/watch?v=JZqA67-WAPU è un nuovissimo arrangiamento in chiave soul-jazz del celebre brano We shall overcome: un inno di libertà e speranza che si leva in questo momento di brutale oppressione. Il video è stato realizzato animando le splendide foto originali del fotografo orvietano Marco Mandini. Lui così sintetizza il suo lavoro: «Il Concept del progetto mi ha portato a mettere nei miei scatti diversi stati d’animo, solitudine, straniamento, il sentirsi vuoti e oppressi, nella prima parte del video, per arrivare poi ai momenti più sereni e di tranquillità, al piacere di ritrovarsi dopo le tempeste di ognuno. Ho utilizzato dei bianchi e neri molto contrastati e crudi, delle location che potessero evidenziare queste sensazioni, luoghi chiusi e vissuti, pareti graffiate e scenografie dove l’abbandono è reale. Tutto ciò per arrivare ai sorrisi nello scatto finale, dove i tre protagonisti si ritrovano con una rinnovata forza e speranza… We shall overcome! Aggiungo un grandissimo grazie alle amiche Anna, Lisa e a Samuele; mi hanno permesso di entrare nel loro io, insieme abbiamo creato un mood che va oltre i loro bellissimi visi: è stato davvero un arricchimento reciproco».
Il senso di isolamento, di rabbia, ma anche di impotenza è sì grande, ma non bisogna abbattersi. La notte va attraversata sino in fondo, ma per fare questo dobbiamo tutti fare qualche sosta e riflettere su tutto quello che già prima era malato e “sporco” e ascoltare quelle voci che ci aiutano a capire. Sì, ce la faremo, come dice la canzone, ma solo se saremo più consapevoli di quanto eravamo prima.
Le luci di Atlantide hanno appena iniziato il loro cammino. A giorni infatti uscirà già il secondo lavoro, completamente differente dal primo, che osa giocare con gli “oggetti simbolo” di questa “pandemia”. Di più, al momento, non possiamo svelare.
Foto: Marco Mandini
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