Libero Quotidiano
Le hanno trovate con le mani intrecciate, quasi a farsi forza nel gesto estremo. Sanae e Bouchra sono morte insieme, gettandosi dal battello che ogni giorno fa la tratta Punta Sabbioni-Lido di Venezia. Cosa ci facevano a bordo, considerata la quarantena nazionale? Pare che lavorassero in ospedale, non assunte ma per conto di una cooperativa, e che stessero rientrando a casa, a Marghera. I marinai, tra i seggiolini, hanno trovato due paia di scarpe e una bottiglia di liquore mezza vuota. L’ ultimo goccio per dimenticare, prima di lanciarsi nelle torbide acque della laguna. I motoscafi dei Vigili del Fuoco le hanno ripescate dopo due ore: la corrente aveva trasportato i corpi senza vita delle sorelle marocchine quasi in mare aperto. Stress, depressione dovuta al periodo, oppure – come ha ipotizzato qualcuno – il timore di perdere il lavoro, di non avere una prospettiva per il futuro? Nessuno potrà mai dirlo, ma l’ impennata di suicidi in ogni parte d’ Italia è ormai un dato di fatto.
PUNTA DELL’ ICEBERG
Prendiamo il caso della città di Pisa. All’ ombra della Torre, quattro persone si sono tolte la vita negli ultimi dieci giorni. Numeri impressionanti che testimoniano come gli effetti collaterali del virus uniscano la mazzata economica al disagio psichico e allo sconforto di rimanere chiusi in casa a fare la spola tra il letto e il divano. Sull’ edizione pisana del Tirreno, la psicoterapeuta Sonia Cortopassi ha analizzato la situazione, lanciando un mezzo allarme: «I suicidi sono la punta dell’ iceberg. Il gesto estremo arriva per chi sta pagando già dei costi psicologici che, con l’ emergenza coronavirus, possono diventare insopportabili. Siamo tutti sotto stress e dobbiamo essere pronti a rinascere». In tanti, però, decidono di morire perché non trovano la forza per affrontare una vita nuova.
Oppure perché si ritrovano senza lavoro e senza più affetti, spazzati via dall’ epidemia.
La settimana scorsa, a Milano, un giovane senegalese di 25 anni si è lanciato nel vuoto dalla finestra di casa: aveva appena terminato la chiamata con il suo datore di lavoro, che a causa del calo del giro d’ affari era stato costretto a metterlo in cassa integrazione. Non sono bastate le urla dei vicini – «che cosa fai, scendi di lì!» – : il ragazzo è piombato sull’ asfalto del cortile ed è morto sul colpo. Stesso destino crudele, a fine marzo, per un altro giovane di 29 anni, nella periferia di Torino. Soffriva di depressione e da qualche giorno non si dava pace anche lui per la comunicazione che aveva ricevuto dalla sua azienda: il rapporto di collaborazione era finito, schiacciato sotto i decreti anti-Covid, che avevano obbligato il titolare a sospendere la produzione. Peraltro, proprio quel lavoro lo aveva aiutato non poco a mettersi alle spalle i cattivi pensieri che per troppo tempo lo avevano tormentato, come hanno raccontato i suoi genitori ai Carabinieri. Si è impiccato sulla tromba delle scale del condominio in cui viveva con la sua famiglia ed è toccato al padre, per primo, ritrovare il suo corpo senza vita.
PUNTI DI ROTTURA
In questi giorni difficili d’ emergenza e quarantena forzata i suicidi sono tanti. Troppi. C’ è stato l’ episodio di Rho, nel Milanese, dove un uomo di 38 anni ha sparato alla moglie prima di puntare la pistola verso se stesso: stavano attraversando un periodo di crisi. Un’ altra coppia, questa volta due sorelle, sono state trovate morte in casa due giorni fa a Sarza Irpina, piccolo paesino alle porte di Avellino: un doppio suicidio ancora senza un perché. E sempre due giorni fa, un signore di 55 anni, a Lissone (Monza), è precipitato dal terzo piano di un condominio. Soffriva già da tempo e non ha più retto. E come dimenticare le due infermiere di Jesolo e Monza che nella seconda metà di marzo si sono suicidate: pare non sopportassero più la pressione del coronavirus che nei loro reparti di terapia intensiva stava mietendo vittime a raffica.
Fonte art. Libero Quotidiano
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