Il caso della donna spogliatasi davanti all’Università di Teheran ha ridestato l’attenzione sulla Repubblica Islamica e sul preteso regime di “oppressione” che colpirebbe le donne di questo paese. Per affrontare la questione abbiamo voluto dare voce ad Hanieh Tarkian, docente italo-iraniana coordinatrice del Master in lingua italiana in Studi Islamici organizzato dall’Università internazionale al-Mustafa di Qom.
Qual era la condizione delle donne in Iran prima della rivoluzione del 1979?
Durante il periodo del regime dei Pahlavi, una dittatura al servizio degli interessi degli Stati Uniti e delle altre forze imperialiste, dove nemmeno gli uomini godevano di un minimo di libertà, l’unica “libertà” concessa alle donne era quella di seguire il modello consumistico occidentale e trasformare il loro corpo in una merce da mettere al servizio della pubblicità, del cinema, dello spettacolo e così via. La donna era vista come un oggetto e la sua immagine poteva essere venduta come un prodotto, proprio come succede oggi in molte società contemporanee. Inoltre il regime dello Scià voleva annichilire l’identità culturale e religiosa degli iraniani, perché chiaramente è più facile manipolare un popolo alienato, che non conosce più se stesso. Per questo motivo cercò in tutti i modi di allontanare gli individui dalle tradizioni religiose, e in particolare per quanto concerne le donne, in alcuni periodi fu vietato loro di coprirsi con l’hijab o con il chador. Addirittura gli agenti del primo scià della dinastia Pahlavi, in sella ai loro cavalli, giravano per le strade e con le loro spade strappavano i veli alle donne. Ciò spinse le donne religiose ad evitare di uscire di casa, con tutte le conseguenze che ciò comportava. La verità è che il regime Pahlavi non diede mai vera libertà al popolo iraniano, né all’uomo né alla donna, voleva solo un popolo schiavo, incapace di poter usufruire delle ricchezze del proprio paese – che venivano gestite dalle forze straniere – e alienato dalla propria identità. Tuttavia, grazie alla perspicacia e al discernimento di una guida politica e spirituale come l’Imam Khomeini, il popolo iraniano si rese presto conto della strategia del regime dei Pahlavi e questo portò alla vittoria della Rivoluzione nel 1979: un popolo aveva conquistato la vera libertà, ossia svincolarsi dalle catene dell’imperialismo e da coloro che si considerano dèi in terra.
Che ruolo hanno avuto le donne nella rivoluzione?
La Rivoluzione islamica dell’Iran del 1979 fu una rivoluzione in cui il popolo, grazie alla guida dell’Imam Khomeini, ebbe un ruolo determinante; l’Imam stesso in varie occasioni sottolineò il ruolo del popolo nella rivoluzione e in particolare il ruolo delle donne. Le immagini dell’epoca parlano chiaro: nelle manifestazioni e nelle proteste contro lo Scià erano presenti sia uomini che donne. Le donne venivano arrestate, torturate e uccise dalla terribile Savak, i servizi segreti dello Scià, proprio come gli uomini. Nella visione rivoluzionaria dell’Iran, ispirata dagli insegnamenti islamici, la donna ha un ruolo unico e insostituibile nella società e altrettanto a livello famigliare. Uomo e donna, perché diversi, perché possiedono caratteristiche peculiari, possono dare un contributo unico alla famiglia, a una società, a una rivoluzione, a un governo, in ambito scolastico e accademico, sul posto di lavoro e così via. L’Imam Khomeini disse: “Non vogliamo e l’Islam non vuole che le donne siano un oggetto e una bambola nelle nostre mani. L’Islam vuole preservare la personalità della donna e renderla una persona responsabile ed efficiente. Non permetteremo mai che le donne siano viste come oggetti e strumenti di piacere degli uomini”. Secondo questa visione, la società dev’essere un luogo che favorisca la realizzazione materiale e spirituale dell’essere umano e non che la impedisca. Ogni creatura dev’essere in grado di realizzare le proprie potenzialità, che potrebbero essere diverse dall’una all’altra. Il regime dello Scià era un regime imperialista che distruggeva le potenzialità del popolo iraniano e dei singoli individui.
All’interno della società iraniana le donne hanno visto aumentare in maniera molto rapida i tassi di alfabetizzazione, scolarizzazione e partecipazione alla forza lavoro dopo il 1979. Quali sono stati i principali ostacoli a ciò?
Intanto riporto alcuni dati che aiutano a comprendere meglio la situazione della donna prima e dopo la Rivoluzione islamica. La percentuale di ragazze tra gli studenti iraniani è passata da circa il 25%, negli anni antecedenti la Rivoluzione islamica, a più del 50%. Prima della Rivoluzione islamica dell’Iran il tasso di analfabetismo tra le donne si aggirava intorno al 50-60%, ora è sceso a meno del 10%. Il numero delle donne medico specialiste in Iran è aumentato di ben dodici volte dalla Rivoluzione islamica, mentre per i loro colleghi uomini la percentuale è pari a tre. Negli anni successivi alla Rivoluzione islamica l’aumento del numero dei campi sportivi femminili è passato da 7 a 38, quello delle Federazioni sportive femminili attive da 1 a 49, degli arbitri donna da 7 a 16.000 e delle allenatrici sportive da 9 a 35.000. Questi dati illustrano chiaramente che, dopo la Rivoluzione, la partecipazione alla vita sociale delle donne è stata favorita e incoraggiata. Tuttavia l’ayatollah Khamenei, l’attuale guida suprema dell’Iran, ha affermato che nella società islamica e iraniana il ruolo importante della donna non è ancora stato né compreso né realizzato. Perché questa affermazione? Le donne sono presenti in praticamente tutti gli ambiti della società, e la loro presenza è attiva, così come lo fu durante la Rivoluzione e durante la guerra imposta Iraq-Iran, frangenti in cui le donne sostenevano gli uomini al fronte e, se necessario, partecipavano ai combattimenti. Probabilmente, la succitata affermazione della Guida suprema è dovuta al fatto che nell’incoraggiare la presenza della donna nella società si utilizza ancora il modello occidentale, anche se adattato alla società iraniana. Nella visione dell’imam Khamenei, la società dev’essere gestita in modo tale da permettere alla donna di avere il diritto di svolgere il suo ruolo sociale ma anche quello in famiglia. Egli enfatizza come la presenza attiva della donna nella società, proprio per le sue peculiarità in quanto donna, possa essere di grande beneficio, questo però a patto che la donna sia presente come donna e non costruendosi un’identità falsa, e soprattutto a patto che questo le permetta di mantenere anche la sua presenza in famiglia. Perché la famiglia è il nucleo alla base della società, se la famiglia fallisce, tutta la società ne subirà le conseguenze. Lo stesso ruolo che una donna ha nella famiglia può svolgerlo nella società, per esempio essere educatrice, non nel senso specifico del termine ma nel senso ampio, di elevazione degli esseri umani. La stima che una donna ha di se stessa in quanto donna può portarla ad influenzare la società in cui vive. La donna non è nemica dell’uomo, non deve “diventare come l’uomo”, uomo e donna devono riscoprire e ritrovare i loro ruoli nella famiglia e nella società, questo non significa assolutamente che uno sia superiore all’altro, ma semplicemente che devono collaborare e completarsi a vicenda.
Al giorno d’oggi quali sono le prospettive per una donna iraniana? Quali sono le sue principali preoccupazioni? Ci sono ancora delle situazioni problematiche non risolte?
I problemi e le preoccupazioni principali del popolo iraniano, sia uomo che donna, riguardano le questioni economiche, sicuramente non i così detti diritti umani e tanto meno i diritti della donna. Come ho ampiamento illustrato, le donne partecipano alla vita sociale, politica, economica, accademica e così via, possono raggiungere posizioni importanti, e allo stesso tempo elevarsi spiritualmente grazie a una società che cerca di stabilire un equilibrio tra benessere materiale e spirituale. Ovviamente ciò è molto difficile, e soprattutto incontra molti ostacoli, in parte dovuti all’incapacità dei funzionari, o a fattori come la corruzione che è comunque presente in Iran, e in parte causati dall’ostilità che proviene dagli Stati Uniti e da alcuni paesi occidentali, nonché dalla falsa propaganda che ne deriva. Basta vedere come di recente stia facendo più notizia una studentessa che si spoglia nel cortile di un’università iraniana, azione dovuta a un disagio familiare e psicologico e non per protesta contro il velo come riportato dai media occidentali, piuttosto che le migliaia di persone, in gran parte donne e bambini, che vengono uccise in Palestina e in Libano dal regime genocida israeliano. Con simili pretesti e con questa propaganda si accusa l’Iran di violare i diritti umani, i diritti della donna, lo si accusa, senza pudore, di terrorismo, vengono imposte sanzioni, e ovviamente chi ne subisce le conseguenze è il popolo, anche le donne. Quante donne sono morte perché non era possibile importare alcuni medicinali specifici per curare patologie rare a causa delle sanzioni?! Io non credo proprio che l’Occidente si preoccupi dei diritti delle donne, né in Iran né altrove.
Si parla spesso del velo come imposizione, ma al di là della legislazione iraniana, che significato culturale ha il velo per le donne iraniane? Qual è il suo significato dal punto di vista religioso per i mussulmani? Le persone che ne contestano l’obbligatorietà sono manipolate dall’estero o esiste un dibattito autoctono in merito?
Io credo che riguardo al velo vi sia una considerazione sbagliata di tutta la questione, che cercherò quindi di spiegare. Nella cultura iraniana, e questo anche prima che l’Iran diventasse un paese a maggioranza musulmana, quando la religione principale era lo zoroastrismo, il velo non era considerato un accessorio, ma parte del codice di abbigliamento. Chi va in Iran e va a visitare i luoghi in cui la popolazione indossa ancora gli abiti tradizionali, noterà che le donne si coprono il capo, anche se lo stile e il copricapo è diverso e peculiare da regione a regione, ma le teste sono coperte. Questo significa che per una donna iraniana, scoprirsi il capo non è come togliersi un guanto ma è come svestirsi, è una sensibilità individuale e sociale diversa da quella occidentale. In realtà questa sensibilità era presente anche in Occidente fino a circa un secolo fa, e ancora oggi è presente una certa sensibilità in Occidente, seppur diversa, sul come lo svestirsi costituisca una violazione del decoro sociale, infatti praticamente dappertutto vi sono norme che regolano il codice di abbigliamento e il decoro pubblico. Chiaramente queste norme cambiano da una società all’altra in base a quella che è la sensibilità comune, a come essa è cambiata nel tempo (in realtà non sempre in modo naturale, ma molto spesso imposta da fattori esterni come il cinema e la televisione, ma questo è un altro discorso, degno comunque di nota), tuttavia ciò non significa che tutte le società debbano adattarsi ai criteri occidentali e se in Occidente il velo è considerato ormai un accessorio, così debba essere anche nelle altre società! Pertanto vi è proprio una visione sbagliata della questione del velo, dovuta anche a un decennio di propaganda islamofoba iniziata dall’11 settembre in poi. Per quanto riguarda il discorso specifico dell’Iran, come dicevo, in qualsiasi società esistono delle norme che regolano il decoro pubblico e il codice di abbigliamento. Se in Italia vi presentate in un tribunale in pantaloncini e maglietta, non vi fanno entrare, se non indossate la giacca, o nel caso di una donna se non avete un abito adatto, non vi fanno entrare al Senato o alla Camera dei deputati, in quasi tutte le scuole e le università vi sono regolamenti riguardo all’abbigliamento consono, così pure nelle città. “Eh ma il velo è diverso!” spesso mi sento dire questo, può darsi sia una questione diversa nella cultura italiana e occidentale, ma in Iran fa parte del codice di abbigliamento. Comprendo che sia difficile da capire, ma d’altronde non dobbiamo sempre capire le differenze culturali, lasciamo che siano i popoli a decidere per sé. E sicuramente in Iran vi è un dibattito per quanto concerne la questione del codice di abbigliamento, anche se come già spiegato i problemi principali sono altri, tuttavia la questione è politicamente e socialmente presa in considerazione. Ci sono state riforme e cambiamenti (non necessariamente nella direzione voluta dalla propaganda occidentale), i costumi cambiano, influenzati anche da fattori come la moda, i social media, la televisione, il cinema, e così via come in qualsiasi altra società; si cerca comunque di preservare la sensibilità tradizionale per non rischiare di trasformare la donna in un oggetto di piacere come ai tempi del regime dello Scià. Sicuramente tra gli oppositori vi sono gruppi che vengono manipolati dall’estero, chi, senza spesso rendersene conto, come i giovani, più facilmente manipolabili attraverso i social media, e chi invece in malafede, i cui scopi non sono l’interesse e il benessere del popolo iraniano ma soddisfare i loro padroni stranieri.
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