INTERVISTA | Francesca Rubulotta, direttrice del dipartimento di Terapia intensiva presso la McGill University di Montreal in Canada e docente senior presso l’Imperial College Medical School di Londra spiega a Sanità Informazione: «L’anestetico inalatorio potrebbe essere quasi totalmente dismesso. È necessario riprogettare le sale operatorie e renderle ecocompatibili»
Diminuire le dosi di anestetico utilizzato in sala operatoria potrebbe contribuire ad abbassare i livelli di inquinamento. A dimostrarlo, uno studio condotto dai medici dell’Henry Ford Hospital di Detroit. Gli scienziati hanno affermato che intervenendo solo sulle quantità di anestetico utilizzato quotidianamente, si potrebbe ridurre significativamente il livello di carbon footprint (impronta di carbonio). La carbon footprint è una misura che esprime il totale delle emissioni di gas ad effetto serra, associate direttamente o indirettamente ad un prodotto o ad un servizio. Secondo i medici del Michigan sarebbe sufficiente restare sotto la soglia di 3 litri di anestesia al minuto (3L /m) per intervento chirurgico per far calare le emissioni inquinanti.
L’anestesia inalatoria
A finire sotto la lente degli scienziati del Michigan è stata una specifica tipologia di anestetico, quella inalatoria che, per la sua composizione gassosa, ha un impatto diretto sull’atmosfera. Ma quanti pazienti sarebbero disposti ad accettare un’anestesia meno profonda per salvare il pianeta? A chiarire la correlazione tra i possibili rischi e benefici è Francesca Rubulotta, direttrice del dipartimento di Terapia intensiva presso la McGill University di Montreal in Canada e docente senior presso l’Imperial College Medical School di Londra. «L’anestetico inalatorio potrebbe essere anche totalmente dismesso dalle sale operatorie di tutto il mondo, fatta eccezione per i reparti pediatrici», afferma Rubulotta.
L’anestesia intravenosa
La prima anestesia al mondo è stata proprio quella inalatoria: «Il cloroformio è stato universalmente accettato come anestetico dopo che, nel 1853, la regina Vittoria d’Inghilterra mise alla luce il suo ottavo figlio, sedata sotto l’effetto proprio di questa sostanza – racconta la specialista -. Successivamente, l’anestesia inalatoria è stata sostituita da quella somministrata per via intravenosa. Nel tempo, numerosi studi hanno mostrato che l’anestesia intravenosa oltre ad essere più efficace di quella inalatoria, offre numerosi vantaggi anche dal punto di vista clinico. Riduce il rischio di cancro, di delirio e la comparsa di altri effetti collaterali. Tanto che, oggi, sono numerose le società scientifiche che si servono esclusivamente dell’anestetico intravenoso», sottolinea Rubulotta.
Il risveglio intraoperatorio
Tuttavia, coloro che ancora si servono dell’anestetico inalatorio, anche in combinazione con quello intravenoso, temono che bandirne l’uso potrebbe causare risvegli precoci ed un eventuale trauma doloroso per il paziente. «Il risveglio intraoperatorio o awareness è la rievocazione e memorizzazione di alcuni ricordi correlati all’intervento chirurgico che la mente è in grado di registrare – spiega Rubulotta – . Dall’awareness scaturire sia un ricordo con, che senza dolore. Se il ricordo è doloroso può provocare pure un disturbo post traumatico da stress».
BIS e l’entropia spettrale
Ma se i risvegli intraoperatori erano molto frequenti nel passato, oggi possono essere del tutto evitati. «Grazie a sistemi di monitoraggio come Il BIS e l’entropia spettrale è possibile ridurre il rischio sia di consapevolezza intraoperatoria che di sotto-dosaggio o sovradosaggio di anestetici. Combinando i valori risultanti dal BIS o dall’entropia spettrale con un’adeguata anestesia, totalmente intravenosa, è possibile evitare i risvegli intraoperatori e ridurre a zero l’utilizzo di anestetico inalatorio», assicura l’anestesista.
L’anestesia pediatrica
Il discorso cambia in età pediatria. «Se il paziente in sala operatoria è un bambino, invece, è quasi sempre necessario utilizzare un anestetico inalatorio al momento dell’induzione intravenosa per calmare il piccolo e ridurre l’effetto traumatico dell’esperienza – dice la specialista -. E, seppure un giorno dovessimo trovare un’alternativa ecocompatibile anche all’anestetico inalatorio usato in pediatria, non elimineremmo comunque la carbon footprint delle sale operatorie. Molti degli strumenti utilizzati, dai dispositivi di protezione individuale, come guanti, camici sterili e mascherine, fino agli strumenti che ci permettono di somministrare farmaci o l’ossigeno al paziente sotto anestesia o sedazione, non sono biodegradabili. Di conseguenza, eliminare l’anestesia inalatoria è sicuramente un passo utile, ma non sufficiente. È necessario riprogettare le sale operatorie e renderle ecosostenibili. Solo in questo modo – conclude Rubulotta – potremmo davvero contribuire a salvare il pianeta».
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