L’India, secondo Paese più popoloso al mondo, è stata al centro delle critiche per aver rifiutato i vaccini di Pfizer e Moderna (e preferendo AstraZeneca e vaccini prodotti in loco). Ma secondo quanto spiega il ministro della Sanità, Mansukh Mandaviya, si è trattato di una scelta di prudenza. L’India chiese uno studio locale e Pfizer rifiutò
Per quanto riguarda i vaccini, siamo ormai ad un primo bilancio, in molti Paesi, da parte dei protagonisti di questo anno di campagne vaccinali. In Italia viene annunciata l’uscita addirittura di una autobiografia (scritta però con la collaborazione di un giornalista) del plurimedagliato Generale Figliuolo, l’uomo che ha portato a compimento l’operazione Vax. Il titolo del libro è breve e monumentale: Un italiano. Un titolo che avrebbe potuto andare bene per una serie di altri personaggi pubblici del Belpaese, da Toto Cutugno a Roberto Mancini. Mentre aspettiamo l’uscita di questo volume che evidentemente narrerà la carriera dell’italico Generale dalle Penne Nere alle siringhe, nella lontana India anche il Ministro della Salute del grande Stato asiatico ha pubblicato la sua biografia in cui narra come ha vissuto la pandemia.
Ma durante il lancio del libro “Una nazione da proteggere” a Nuova Delhi, il ministro della salute Mansukh Mandaviya ha fatto delle rivelazioni molto interessanti. L’India è uno dei più grandi Paesi al mondo, e ha affrontato e superato il problema Covid senza utilizzare i vaccini a mRNA. Il governo indiano non si è mai preoccupato di procurarsi i vaccini prodotti da Pfizer e Moderna che invece in Italia hanno avuto il quasi totale appannaggio della campagna. Perché? Quando in conferenza stampa un giornalista ha chiesto le ragioni di questa scelta, Mandaviya ha affermato che Moderna e Pfizer avevano a suo tempo posto una condizione-capestro al governo indiano: questi avrebbe dovuto assumersi tutti gli oneri dei danni causati dalle vaccinazioni. Ovvero in caso (un caso evidentemente non troppo eventuale) di effetti collaterali o di morti dopo l’inoculazione, le due società produttrici non sarebbero state ritenute responsabili e perseguite secondo la legge indiana. Il ministro della salute ha affermato che non gli sembrò saggio che il governo indiano accettasse queste richieste, e così decise di cercare altri prodotti vaccinali con cui realizzare la campagna di immunizzazione, tra cui soprattutto vaccini prodotti da case farmaceutiche indiane. Invece è andato avanti con i vaccini indigeni.
La spiegazione data dal ministro indiano va a chiarire un caso che si era aperto un anno fa e che aveva suscitato molte perplessità sul comportamento di queste aziende, e che aveva messo il governo indiano nel mirino di molte critiche. Circa un anno fa, infatti, la Pfizer aveva unilateralmente annunciato di abbandonare il progetto di applicazione del vaccino per l’India dopo che l’autorità di regolamentazione aveva richiesto, prima dell’approvazione, una sperimentazione locale del vaccino Pfizer, non accontentandosi dei dati portati dal gigante farmaceutico americano. Pfizer aveva presentato la classica domanda di autorizzazione all’autorità di regolamentazione dei farmaci all’uso di emergenza del suo vaccino Comirnaty.
L’India rispose con la richiesta di uno studio locale di sicurezza e immunogenicità. A differenza di altre società che conducono piccoli studi in India per vaccini sviluppati all’estero, Pfizer aveva cercato un’eccezione citando le approvazioni che aveva ricevuto altrove sulla base di prove condotte in Paesi come gli Stati Uniti e la Germania. I funzionari sanitari indiani ribadirono che non avevano intenzione di derogare rispetto ai protocolli che prevedono delle cosiddette prove ponte per determinare se un vaccino è sicuro e genera una risposta immunitaria nei suoi cittadini.
La società statunitense a questo punto prese la decisione di ritirarsi dopo un incontro con la Central Drugs Standard Control Organization (CDSCO) dell’India. L’autorità di regolamentazione dei farmaci affermò sul suo sito Web che i suoi esperti non avevano raccomandato il vaccino a causa degli effetti collaterali segnalati all’estero che erano ancora oggetto di indagine. Affermò anche che Pfizer non aveva proposto alcun piano per generare dati sulla sicurezza e sull’immunogenicità in India. Una certa stampa etero diretta criticò duramente il Governo che aveva chiuso le porte ai vaccini a mRNA, ma il Ministro indiano non fece assolutamente fatica a reperire altri prodotti vaccinali: la scelta cadde su AstraZeneca e, soprattutto, su un vaccino sviluppato in India da Bharat Biotech con l’Indian Council of Medical Research. Un vaccino autoctono, a bassi costi.
Di fronte a questa storia che ha visto come protagonista il secondo più popoloso Paese al mondo, sembra lecito porre un confronto con quanto accaduto in Italia, dove abbiamo assistito al venir meno di quei criteri di prudenza scientifica che hanno caratterizzato l’agire del governo indiano. Non c’è stato questo normale, scontato, dovuto rigore nell’esaminare i dati, si sono accettate clausole totalmente a favore delle case farmaceutiche, non si è cercato il bene e la sicurezza dei cittadini, si è accettata acriticamente la sperimentazione, e il discorso vaccini è stato impostato ideologicamente: o sei a favore, o sei “contro”, e se sei contro devi essere sanzionato e punito. Così il grande esperimento italiano è stato condotto con la forza. Ora, alla luce anche di quello che veniamo a sapere da storie come quella indiana, sarebbe tempo di tornare alla ragione.
Fonte: https://lanuovabq.it/it/perche-lindia-ha-rifiutato-i-vaccini-ad-mrna
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