Man mano che si sviluppano gli studi di fase IV (“sul campo”) ed emergono dati dai seppur deficitari sistemi di farmacovigilanza, risulta sempre più evidente che il rischio di malattie cardiovascolari e di trombosi (venosa o arteriosa) è aumentato nei soggetti sottoposti a “vaccini” anti-COVID.
Ciò dipende soprattutto dal meccanismo di funzionamento dei prodotti biotecnologici, basati sulla produzione di proteine Spike, e rappresenta una novità inattesa rispetto agli studi di registrazione e persino rispetto alle teorie che avevano presentato questi prodotti biotecnologici come molto vantaggiosi per la rapidità di realizzazione.
In questa relazione, che riprende e approfondisce precedenti articoli dello stesso autore, si illustrano i principali aspetti del rischio trombotico e le ragioni per cui esso è viepiù aumentato in chi ha già manifestato fenomeni di questo genere o tendenze di tipo ereditario.
Caratteristiche dei “vaccini” anti-COVID-19
L’ideazione e rapida produzione dei nuovi “vaccini” contro il coronavirus, ha fatto seguito alla comunicazione da parte dei cinesi della sequenza del virus isolato a Wuhan. Le case farmaceutiche occidentali si sono precipitate a usare questa sequenza e in particolare il segmento della Spike, utilizzando una tecnologia che avevano “nel cassetto” e non erano mai riuscite ad applicare su larga scala. Inutilmente, finora, lo stesso inventore della tecnologia di trasferimento di mRNA mediante particelle lipidiche (Robert Malone) ha messo in guardia sul fatto che il metodo era troppo recente per potersi illudere di un grande successo al primo tentativo su tutta la popolazione.
Il problema principale di tutta la vaccinologia del coronavirus è costituito dal fatto che, a parte qualche piccola modifica fatta per stabilizzare la proteina e impedire che venga subito distrutta al momento della produzione, la Spike “selvaggia” (cioè virale) e quella “artificiale” (creata dall’mRNA del vaccino) sono uguali. Di conseguenza, la Spike prodotta dalle cellule contenenti il mRNA iniettato può avere la stessa funzione biologica e, soprattutto, patologica.
Gli studi di biodistribuzione hanno dimostrato che le nanoparticelle lipidiche si localizzano in molti organi tra cui il fegato e che le proteine Spike si trovano anche nel sangue circolante nella maggior parte dei pazienti inoculati [1-3]. Poiché i recettori delle Spike sono ubiquitari, ecco che le stesse proteine svolgono funzioni biologiche e patologiche, inizialmente non previste dalle teorie sopra menzionate e che vanno ben oltre alla prevista funzione di semplici “antigeni”, potendo danneggiare direttamente le cellule dei vasi polmonari[4, 5]. Recentemente, il mRNA del prodotto anti-COVID-19 è stato trovato nei linfonodi dei pazienti fino a 60 giorni dopo l’inoculo e le proteine Spike ritrovate nel sangue dopo la vaccinazione nel 96% dei casi [3].
Quando la cellula è “trasfettata” dalle nanoparticelle lipidiche si comporta più o meno come una cellula infettata da virus nella produzione della Spike stessa. Ne seguono quindi delle reazioni patologiche di vario tipo dovute alle proprietà della proteina attiva perché le proteine Spike fatte produrre dal mRNA “simulano” quelle del virus e la patologia dipende dagli organi in cui le nanoparticelle si distribuiscono.
In sintesi, i meccanismi con cui può agire la proteina Spike nei sistemi viventi sono i seguenti:
- CITOTOSSICITÀ: Quando le cellule “trasfettate” dal mRNA o dal virus vettore (TUTTE le cellule, non solo le APC) producono la proteina Spike, la esprimono sulla membrana in forma libera o associata alle molecole MHC di classe I. Le difese biologiche producono anticorpi o linfociti T8 citotossici e attaccano le stesse cellule che producono le Spike, cosa che causa difetti funzionali negli organi colpiti e conseguenze di infiammazione locale e sistemica. Inoltre, le “omologie” tra la proteina Spike e le proteine umane sono molto maggiori rispetto ad altri virus e batteri, aggravando il pericolo di patologie autoimmuni. Questo meccanismo può spiegare le miocarditi e le pericarditi.
- TROMBOSI E INFIAMMAZIONE: Le Spike interagiscono con recettori di altre cellule (piastrine e cellule dell’immunità innata) e attivano i sistemi di trasduzione del segnale stimolando le risposte funzionali di tali cellule, tra cui l’aggregazione delle piastrine e la risposta iper-infiammatoria. Questa risposta alla Spike e ad altre sostanze iniettate avviene rapidamente già con la prima dose e non ha bisogno di una precedente immunità. Esiste un’altra possibilità interessante che segue alla internalizzazione del complesso “Spike+ACE2”: l’internalizzazione del complesso mediante endocitosi mediata dal recettore porta a diminuzione netta dell’attività enzimatica ACE2 e quindi ad un aumento di angiotensina II. Questo meccanismo può spiegare le reazioni iper-infiammatorie e le coagulopatie.
- DISTURBI VASCOLARI E DELLA PRESSIONE: Le proteine Spike, rilasciate dalle cellule nel sangue, attaccano le molecole ACE2 (che si trovano sulle cellule, ma anche nel plasma in forma di ACE2 solubile, sACE2), che hanno anche un’attività enzimatica importantissima nella regolazione della pressione del sangue, oltre che nel sistema delle chinine (mediatori del dolore e della essudazione). Al momento in cui intervengono gli anticorpi, il complesso immune Spike+ACE2 è eliminato e ne segue uno sconvolgimento delle dinamiche pressorie, che rappresenta una conseguenza peculiare e potenzialmente fatale di questi vaccini.
Questi tre meccanismi non sono tra loro separati ma possono sovrapporsi e agire in modo sinergico. Si apre dunque un nuovo capitolo della vaccinologia, forse inatteso per gli stessi inventori dei vaccini e che sarebbe bene venisse conosciuto e approfondito tempestivamente, perché le situazioni patologiche descritte hanno un impatto enorme sulla valutazione dei rischi vaccinali. Inoltre, la conoscenza dei fattori meccanicistici implicati nel danno vaccinale potrebbe predisporre migliori e più tempestivi interventi diagnostici (es: dosaggio del D-dimero o della triptasi, accurata misurazione della pressione arteriosa, valutazione del rischio genetico, ecc.) e terapeutici.
L’impatto delle proteine Spike sul sistema cardiovascolare
Poiché il virus interagisce mediante le Spike e il “vaccino” stesso produce le Spike (più o meno simili a quelle “selvagge”), c’è da spettarsi che anch’esso causi modifiche su questo sistema con possibili conseguenze patologiche, soprattutto sulla pressione arteriosa e la circolazione del sangue. Chi scrive espose questa teoria in una pubblicazione già nel febbraio 2021 in forma preliminare [6] e definitivamente nel numero di Aprile 2021 della rivista EC Pharmacology and Toxicology [7]. Copie furono tempestivamente inviate ad AIFA e EMA.
Sia il virus SARS-CoV-2 che le proteine Spike dei relativi “vaccini” hanno un impatto sul sistema della circolazione, della pressione arteriosa e degli equilibri idro elettrolitici, ma anche di alcuni meccanismi infiammatori e coagulativi. È ben noto che il virus SARS-CoV-2 utilizza ACE2 come recettore di ingresso cellulare e ciò ha notevoli conseguenze nel corso della malattia COVID-19 [8], ma lo stesso avviene a seguito della vaccinazione [7]. Recettori ACE2 capaci di legare le proteine Spike sono stati identificati anche nelle cellule ematopoietiche [9], nelle piastrine [10] e nelle mastcellule [11]. Va precisato che nei leucociti vi sono altri recettori, oltre alla ACE2, capaci di legare le proteine Spike [12, 13].
ACE2 normalmente distrugge la angiotensina II, un peptide di 8 amminoacidi che ha azione ipertensiva e provoca la ritenzione idrica, e la trasforma in “angiotensina 1-7”, che ha un effetto ipotensivo.
Il recettore/enzima ACE2 è legato alla membrana di molti tipi cellulari (detta “mACE2”), ma ne esiste anche una forma solubile, libera nel plasma, detta “sACE2”. Inoltre, va considerato che ACE2 non si trova solo sulle cellule della parete dei vasi sanguigni, a anche in molti altri tipi cellulari, come le mucose (es. bocca, intestino), cuore, cervello, rene, fegato, piastrine del sangue. Nel momento in cui i virus si attaccano alle cellule, una certa quantità di molecole ACE2 si staccano dalle membrane per azione di enzimi proteolitici e passano nel plasma, e in questo caso possono avere l’effetto di diminuire la angiotensina II portando all’ipotensione [14]. Inoltre, le Spike (anche in forma libera) potenziano l’aggregazione piastrinica, favorendo quindi la trombosi [10].
Il problema maggiore emerge nel momento in cui i virus, con legate molecole di sACE2 o attaccati alle ACE2 di membrana, entrano nelle cellule uscendo dalla circolazione, oppure quando sono captati dagli anticorpi (formatisi dopo alcuni giorni dall’inizio della malattia) e dal sistema dei fagociti, che pure li portano via dalla circolazione. Altrettanto succede se le proteine Spike libere nel sangue, prodotte dal “vaccino” e con legata sACE2, sono captate dagli anticorpi. Questo schema è rappresentato nella figura del titolo di questo scritto.
A quel punto, l’attività ACE2 diminuisce e, di conseguenza, aumenta l’angiotensina II, provocando un nuovo squilibrio endocrino e vascolare. È stato sostenuto che l’ingresso di SARS-CoV-2 nelle cellule determini una sottoregolazione dell’ACE2 legato alla membrana, e questo meccanismo può provocare lesioni polmonari e vasocostrizione perché viene a mancare la conversione di Angiotensina II in Angiotensina 1-7 [14, 15]. Già era stato notato che la proteina Spike dei coronavirus, quando si lega al recettore ACE2, ne provoca la internalizzazione col meccanismo della “receptor-mediated endocytosis” [16].
Inoltre, si generano squilibri nel sistema delle chinine fino al cosiddetto “kinine storm” (tempesta di chinine) [17, 18]. Infatti, ACE2 svolge un ruolo anche nella regolazione del sistema delle chinine, eliminando la bradichinina che è normalmente responsabile di fenomeni infiammatori ed essudati. È stato dimostrato che gli elementi chiave dei sistemi di bradichinina, angiotensina e coagulazione sono co-espressi con ACE2 nelle cellule alveolari del polmone e ciò potrebbe spiegare come i cambiamenti in ACE2 promossi dall’ingresso di cellule SARS-CoV-2 determinano lo sviluppo delle forme cliniche più gravi di COVID-19 [19, 20]. Di fatto, anche l’infiammazione mediata da bradichinina genera complicazioni respiratorie pericolose per la vita in COVID-19 [21] ed è questo uno dei motivi per cui oggi si consiglia l’uso di anti-infiammatori [22]. Inoltre, dosi minime di Spike inducono la produzione di molti tipi di citochine nel sangue intero dei pazienti con COVID-19 ma anche la produzione di alcune citochine come RANTES (regolate all’attivazione, cellule T normali espresse e secrete), PDGF, fattore di crescita derivato dalle piastrine) e IL-9 nel sangue di persone non COVID [23].
Complicazioni cliniche
La nuova visione scientifica che pone il disordine vascolare al centro della patologia da vaccini anti-covid-19 è stata confermata da molti studi che evidenziano l’incidenza di complicanze cardiovascolari, anche gravi, di molto maggiori rispetto a quelle registrate ad esempio per il vaccino antiinfluenzale. Come si è detto, la produzione delle Spike può provocare uno sconvolgimento del sistema renina-angiotensina, simile a quello che si verifica anche nella malattia COVID-19 e che provoca un aumento di pressione arteriosa [7] [4, 24, 25]. Autori italiani [24] riferiscono che, tra le reazioni avverse ai vaccini anti-COVID-19, si sono accumulate alcune evidenze sull’effetto della vaccinazione sui valori di pressione arteriosa (rialzo acuto e significativo). Kim et al. (2021) hanno dimostrato che rispetto al vaccino antinfluenzale, i “vaccini” a mRNA COVID-19 hanno un rischio molto più elevato per alcune complicanze cardiovascolari, come la crisi ipertensiva (rapporto di probabilità di segnalazione aggiustato [ROR], 12,72; intervallo di confidenza al 95% [CI], 2,47-65,54) e tachicardia sopraventricolare (ROR aggiustato, 7,94; IC 95%, 2,62-24,00) [26]. Il rischio è ben 12 volte maggiore col “vaccino” mRNA anti-COVID-19 rispetto all’anti-influenzale.
L’aumento di pressione arteriosa (crisi ipertensiva) può avere conseguenze gravi e persino tragiche, essendo un fattore di rischio accertato della emorragia cerebrale subaracnoidea, aumentando il rischio di 2,6 volte (come paragone, il fumo lo aumenta di 3,1 volte e l’abuso di alcool di 1,5 volte)[27].
Lo studio di Kaur et al. [28] è stato uno dei primi a segnalare il pericolo sistematico di eventi avversi di tipo cardiovascolare. Il lavoro, pubblicato il 27 luglio 2021, si concentrava sugli eventi avversi cardiovascolari dopo la vaccinazione COVID-19 registrati su VigiBase, un database internazionale di farmacovigilanza post-marketing dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 15 dicembre 2020 e il 24 gennaio 2021. Per il sistema cardiovascolare, sono stati segnalati 4863 eventi avversi (AE) da BNT162b2 Pfizer, 1222 AstraZeneca, Moderna e altri “vaccini” COVID-19. Gli eventi avversi più comuni osservati sono stati tachicardia (16,41%), vampate di calore (12,17%), ipertensione (5,82%), ipotensione (3,60%) e sensazione di freddo periferico (2,41%). Infarto miocardico acuto, arresto cardiaco e collasso circolatorio sono stati collegati agli inoculi nella fascia di età >75 anni. Ipertensione, ipertensione grave, tachicardia sopraventricolare, tachicardia sinusale e palpitazioni erano associate in tutti i gruppi di età e in entrambi i sessi.
Tra le indagini, sono stati riportati risultati anormali dell’ECG, aumento di proteina C-reattiva (indice di infiammazione sistemica), il D-dimero elevato (indice di coagulazione intravascolare) e la troponina (indice di danno muscolare cardiaco) sono stati riportati in gruppi di età o sesso specifici o in tutti i soggetti. L’aumento del D-dimero (indice della attivazione dei meccanismi coagulativi e fibrinolitici) è prova della reazione pericolosa ai “vaccini” anti-COVID-19 (sia a mRNA che a vettore virale) ed è associato ad aumento della mortalità [29, 30].
La letteratura sui rischi cardiovascolari dei prodotti biotech anti-COVID-19 è ormai immensa e qui si possono citare solo alcuni lavori significativi di rassegna [31-37].
Interessante è anche il lavoro di autori italiani che sul Giornale Italiano di cardiologia evidenziavano il rischio di ipertensione [38]. Gli autori hanno effettuato un’indagine prospettica tra gli operatori sanitari del loro ospedale. Il sondaggio online comprendeva 70 domande incentrate su comorbilità, tipo di reazione avversa (inclusi febbre, nausea, mal di testa, mialgia, diarrea, dolore al sito di iniezione e perdita del gusto o dell’olfatto), aumento della pressione arteriosa (definito da un aumento medio PA sistolica o diastolica domiciliare di almeno 10 mmHg dai 5 giorni prima ai 5 giorni dopo la vaccinazione) e insorgenza di tachicardia sintomatica (definita da frequenza cardiaca a riposo [FC] >100 bpm). Ai soggetti è stato chiesto di misurare la PA domiciliare prima di colazione e prima di cena. Un totale di 113 intervistati hanno completato il sondaggio. Complessivamente, 6 soggetti (5,3%) hanno mostrato un aumento medio della pressione sistolica o diastolica di ≥ 10 mmHg durante i primi 5 giorni dopo la prima dose rispetto ai cinque giorni precedenti l’inoculo. Due dei soggetti con un aumento della pressione arteriosa dopo la prima dose hanno manifestato un aumento della pressione arteriosa anche dopo la seconda dose. Una incidenza del 5% di reazione avversa al vaccino in termini di aumento di pressione arteriosa non è affatto trascurabile: corrisponde infatti a 50.000 casi su milione di dosi iniettate.
Anche l’analisi degli eventi avversi registrati e resi disponibili dall’EudraVigilance della European Medicines Agency ha evidenziato che nello spettro delle sospette reazioni avverse al “vaccino”, l’incremento acuto dei valori pressori è uno dei fenomeni dominanti (in totale 6130 segnalazioni ossia il 2.9% di tutti i casi segnalati), incluse “crisi ipertensive” seguite da tachicardia (n = 5788 con 0.7% di eventi fatali) e aritmie (n = 1809 con il 4.1% di eventi fatali) (citato in [38])
Rischi/benefici?
Spesso a chi richiede esenzione dalla vaccinazione si obietta che il rischio di un certo evento avverso (ad esempio, trombosi e infarto) è maggiore se si contrae la malattia che se ci si vaccina. Tuttavia, il confronto tra vaccinazione e malattia deve essere fatto con malattie curate bene e non con i dati esistenti prima della scoperta delle cure. La malattia COVID-19 oggi si cura[22, 39-49], per cui il rischio trombotico diminuisce drasticamente rispetto alle statistiche precedenti. Ad esempio, in pazienti curati tardi e male è frequente riscontrare un aumento del d-dimero[50], mentre in pazienti curati tempestivamente con anti-infiammatori, antivirali e anticoagulanti è rarissimo[46].
L’obiezione che il rischio cardiovascolare sarebbe maggiore nella COVID-19 rispetto alla vaccinazione sembra confutata da una recente articolo pubblicato da una prestigiosa rivista del gruppo “Nature” che riferisce degli eventi cardiovascolari in Israele prima e durante la campagna vaccinale [51]. Gli autori premettono che gli esiti avversi cardiovascolari come la coagulazione del sangue (ad es. trombosi dell’arteria coronaria), la sindrome coronarica acuta, l’arresto cardiaco e la miocardite sono stati identificati come conseguenze dell’infezione da coronavirus 2019 (COVID-19). Allo stesso modo, ammettono che ormai è chiaro che i dati dei sistemi di sorveglianza regolatoria e di auto-segnalazione, tra cui il Vaccine Adverse Events Reporting System (VAERS) negli Stati Uniti (USA), il Yellow Card System nel Regno Unito e il sistema EudraVigilance in Europa, associano simili esiti avversi cardiovascolari con i “vaccini” COVID-19 attualmente in uso. Poiché i sistemi di farmacovigilanza sono comunque deficitari anche negli altri Paesi, questi autori [51] hanno fatto un diverso percorso: hanno preso in considerazione TUTTI i casi di ricovero ospedaliero per malattia grave di cuore (arresto cardiaco e infarto) in un certo periodo di tempo e sono andati a vedere se il ricovero aveva qualche associazione temporale con la vaccinazione. Più in particolare, lo studio esamina l’associazione tra l’incidenza di ARRESTO CARDIACO (CA) e SINDROME CORONARICA ACUTA (ACS, in poche parole l’infarto) e due potenziali fattori causali: i tassi di infezione da COVID-19 e il lancio del “vaccino” COVID-19. Nei mesi gennaio-maggio del 2021 (secondo anno di pandemia, con vaccinazioni) rispetto al 2020 vi è stato un aumento di ACS: dai precedenti 9708 casi si è passati a 11.159 (aumento di 1451 casi, corrispondenti al 15% in più rispetto allo stesso periodo del 2020). Sia il conteggio delle chiamate CA che quello ACS iniziano ad aumentare all’inizio di gennaio 2021 e sembrano seguire da vicino la curva della campagna vaccinale, particolarmente quella della 2a dose. Hanno infatti un picco intorno all’inizio di marzo e poi diminuiscono a fine marzo e la prima parte di aprile. I grafici evidenziano anche la mancanza di associazione tra i conteggi delle chiamate CA e ACS e quelli delle infezioni da COVID-19. In altre parole, c’è una stretta correlazione temporale tra la quantità di inoculi fatti e la quantità di ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari. Gli autori notano anche un picco di ricoveri nel periodo in cui si sono vaccinati con la prima dose i soggetti che avevano già avuto l’infezione e suggeriscono che ciò possa essere dovuto ad una più forte reazione del sistema immunitario (troppo forte nel caso della patologia riscontrata).
Nell’articolo, gli autori [51] affermano che i loro dati confermano altri provenienti da altri osservatori in Germania e Regno Unito, che citano nel testo. Nel notare correttamente che una associazione temporale non prova una associazione causale in ogni singolo caso, essi lanciano un serio allarme per la necessità di un’indagine approfondita, soprattutto per i casi che si verificano tra i giovani adulti. Questo lavoro dovrà quindi allertare anche i sistemi di farmacovigilanza italiani, visto che questo “segnale” non è neppure considerato nel rapporto annuale pubblicato da AIFA sui vaccini anti-COVID-19. Se si volesse fare una stima dei casi che potrebbero aver interessato l’Italia, estrapolando il dato solo per le ACS, si dovrebbe moltiplicare la cifra di 1451 casi israeliani per 6,3 (il rapporto di popolazione tra i due Paesi) e si otterrebbe la considerevole cifra di 9141 casi di sindrome coronarica acuta post-vaccinale. Considerando i pazienti di età 16-39 anni (quelli in cui la gravità della malattia COVID-19 è senza dubbio minore), si raggiungerebbe la cifra di 163×6,3 = 1027 casi di sindrome coronarica acuta post-vaccinale. E trattasi di calcolo limitato ad un periodo di 5 mesi di campagna vaccinale.
Infine, va considerato il rischio INDIVIDUALE. Nel caso di un paziente che abbia un aumentato rischio documentato dalla clinica o dalla genetica il rapporto rischio-beneficio deve essere impostato su base individuale, in modo attento ai vari fattori in gioco riguardanti lo stile di vita, l’esposizione al virus, eventuale presenza di precedenti infezioni, esistenza di cure adeguate per le co-morbidità.
Nella valutazione si deve tener conto che i confronti esistenti in letteratura e i calcoli dei rischi/benefici sono fatti su soggetti normali e non su soggetti a rischio per suscettibilità genetica per disordini della coagulazione o dei vasi, o su coloro che hanno avuto episodi precedenti. Il rischio di recidiva di trombosi venosa profonda è maggiore negli eventi idiopatici (circa il 10% all’anno durante i primi due anni e il 3% all’anno successivamente, con una letalità dell’8%) rispetto agli eventi secondari a fattori accertati (odds ratio di 2,4) e nei soggetti di sesso maschile [52]. Poiché anche la terapia anticoagulante a lungo termine ha i suoi rischi, in generale non si consiglia una terapia di mantenimento una volta superato l’episodio acuto.
Soprattutto, a causa del rischio vaccinale certamente aumentato e della mancanza di dati certi di farmacovigilanza, la decisione vaccinale deve rispettare la volontà del paziente. Proprio in queste condizioni di incertezza, sottoporre un paziente ad una vaccinazione che aumenta il rischio trombotico è molto discutibile e comunque non dovrebbe essere imposto (per obbligo o ricatto) un tale rischio di decesso ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione il cui ultimo capoverso recita “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Fonte: https://sfero.me/article/vaccini-anti-covid-19-e-rischio-di-trombosi
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