In questo contesto di “iper-legificazione” c’è un elemento che pare essere stato completamente dimenticato: il precetto penale.
Infatti, nell’ordinamento italiano esistono ancora delle norme, di carattere penale, che vietano di comparire mascherati o comunque travisati in un luogo pubblico.
In particolare, sono due le norme fondamentali che impongono tali restrizioni:
L’art. 85 del Testo Unico di legge sulla pubblica sicurezza (R.D. n. 773 del 18 giugno 1931), che così recita: “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico… È vietato l’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto…”
L’altra, un po’più dettagliata, è l’art. 5 della Legge n. 152 del 22 maggio 1975: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino…”
Dalla lettura di queste disposizioni sorgono due interrogativi principali: cosa vuol dire “mascherati” e quali sono questi “giustificati motivi”?
Il nodo gordiano della questione risiede nel fatto che la norma parla espressamente solo di “caschi protettivi”, facendo in seguito riferimento, in via residuale e assai genericamente, a “qualunque altro mezzo” atto a rendere difficoltoso il riconoscimento.
Il suddetto articolo 5 della Legge 22 maggio 1975, n. 152, è stato modificato in senso più restrittivo e consono alla «ratio» di tutela dell’ordine pubblico: infatti, il secondo comma, modificato prima dall’articolo 113, quarto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, e poi dall’articolo 10, comma 4-bis, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale». Inoltre, l’articolo era stato già sostituito dalla legge 8 agosto 1977, n. 533, recante «Disposizioni in materia di ordine pubblico».
In buona sostanza, le misure antiterrorismo hanno reso più severa la novellata legge n. 152 del 1975, che proibisce di circolare in luoghi pubblici con il viso coperto e interviene più incisivamente, puntualizzando il concetto dell’utilizzo, residuale, «di qualsiasi altro mezzo idoneo» a travisare o a mascherare la persona umana, in modo da impedire o da rendere difficoltoso il suo riconoscimento, ricomprendendovi solo e specificamente i particolari indumenti indossati dalle donne di religione islamica (burqa e niqab).
Appurato, così, che indossare le mascherine per prevenire o limitare la diffusione del virus non costituisce un “giustificato motivo” ai sensi di legge, va da sé che tale comportamento sia penalmente rilevante.
Le nuove norme (che impongono di indossare la mascherina in luogo pubblico) sono completamente contrastanti con le precedenti che vietano espressamente tale comportamento, e non si è verificata un’abrogazione implicita di queste ultime, secondo quanto disposto dall’art. 15
delle Preleggi (Capo II – “Dell’applicazione della legge in generale”: «Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge
anteriore [Cost. 75; c.p. 2]»).
In tutto questo guazzabuglio nel quale un normale cittadino può perdersi facilmente, ciò che è abbastanza facile da comprendere è che l’obbligo di usare la mascherina è stato sancito con ordinanze regionali per quanto riguarda la circolazione all’aperto, e con DPCM, che sono sempre
atti amministrativi, per quanto riguarda l’utilizzo nei luoghi chiusi.
Queste norme non sono leggi, sono tutti atti amministrativi, e come tali sono subordinati alle leggi, tanto più alla legge penale. Per una gerarchia delle fonti del diritto, le ordinanze, in quanto atti amministrativi, non possono andare contra legem. Anche se fosse vero che c’è un’emergenza,
che giustifica una deroga alla legge penale che vieta di andare in giro a volto coperto, comunque si dovrebbe prevedere quest’obbligo della mascherina con una legge di pari rango e deroga alla
legge penale.
È plausibile, quindi, affermare come le norme regolamentari, che impongono di andare in giro indossando la mascherina, di fatto stanno invitando la popolazione a tenere un comportamento contrario alla legge.
Poi c’è il principio di costituzionalità, perché l’articolo 32 della Costituzione sancisce le modalità di obbligo di trattamenti sanitari che poi sono previste dalla legge 833/78, ma c’è anche il diritto alla salute che viene prima della possibilità di obbligare a trattamenti sanitari in virtù della salute pubblica. Quindi se la mascherina fa male o va a minare la mia salute, o la mia vita sono libero di non usarla nell’esercizio del diritto alla salute.
C’è, inoltre, la libertà individuale, sancita dall’articolo 13 della Costituzione. È una costrizione non poter uscire se non hai la mascherina, non poter entrare in un posto senza mascherina. Così, anche la libertà di movimento e circolazione sancita nell’articolo 16 è violata. Quindi c’è ancora una compressione di diritti costituzionali a partire da norme che in realtà sono del tutto subordinate, cioè norme di rango amministrativo.
A questo punto, dovremmo chiederci per quale motivo tutti i pubblici ufficiali in servizio, che constatano la presenza di persone dotate di mascherine in luogo pubblico, non abbiano segnalato all’Autorità Giudiziaria tali notizie di reato, rendendosi a loro volta passibili di una serie di reati previsti dal Codice Penale che spaziano dall’art. 361 (Comma 1: «Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o a un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è
punito con la multa…». Comma 2: «La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria [c.p.p. 57], che ha avuto comunque notizia di un reato del quale
doveva fare rapporto [c.p.p. 330-332, 347]»), agli artt. 110 (Concorso in reato) e 378 (Favoreggiamento): «Pur punendo condotte di aiuto post delictum, la recente giurisprudenza (con riferimento ai reati permanenti) ha stabilito che il momento in cui il favoreggiamento rileva penalmente è quello in cui il reato presupposto ha raggiunto una soglia minima di rilevanza penale (e quindi dal tentativo), con la conseguenza che il favoreggiamento può essere riconosciuto anche unitamente al concorso nel reato presupposto».
Tornando ai discorsi già fatti sulla scuola, va posto in evidenza che lo stesso “DM scuola 2020/2021 del 26- 06-2020” esclude quasi completamente il pericolo di contagio tra gli alunni, poi, se vietassero l’accesso ai bambini senza mascherina commetterebbero un abuso al diritto costituzionale all’istruzione che non può essere compresso per DPCM e nemmeno per decreto legge. Abbiamo già un precedente che è la legge Lorenzin del 2017, dove il DL inizialmente prevedeva l’esclusione da scuola anche dei bambini oltre i 6 anni e poi è stato modificato perché sarebbe stato in violazione al diritto costituzionale all’istruzione. Non si può imporre la mascherina nemmeno a scuola! Questo è l’argomento su cui fare leva, dopo di che è altrettanto chiaro che dovrebbero essere i genitori a unirsi e ad andare
contro le istituzioni e le scuole per rivendicare questo diritto, consci anche del fatto che così facendo si danno ai Presidi e ai Dirigenti scolastici i mezzi per scrollarsi di dosso tutte le responsabilità che il predetto DM scuola 2020/2021 ha addossato esclusivamente a loro e di cui quasi certamente non si rendono conto.
Chiunque poi (non solo le FdO, quindi), voglia imporre l’uso della mascherina a chi non volesse indossarla, andrebbe incontro a una serie di denunce tra le quali:
• Istigazione a delinquere (art. 414 c.p.)
• Violenza privata (art. 610 c.p. e 339 c.p. per le aggravanti)
• Violazione degli artt. 2 -10/1c – 13/1-2c – 32/2c – 54 della Costituzione
• Violazione dell’art. 5/1-3c della Convenzione di Orviedo: 1. «Un intervento nel campo della salute può essere effettuato soltanto dopo che la persona interessata ha dato il suo consenso libero e informato». 3. «La persona interessata può, in qualsiasi momento, ritirare liberamente il proprio consenso».
• Violazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Per le FdO e i PU, si aggiunge l’art. 323 del c.p. (Abuso d’Ufficio), così riformulato dal decreto semplificazioni n. 76 del 16 luglio 2020: “sanzionate sul piano penale le specifiche regole di condotta previste da norme di rango primario (legge o atto avente forza di legge)”. Consci anche delle disposizioni dell’art. 28 della Costituzione: 1. «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti». 2. «In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».
Per i militari il dovere di disobbedire all’ordine manifestamente illegittimo è previsto dalla legge 11/07/1978 n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), che all’art. 4 stabilisce: «Il militare al quale è impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e d’informare al più presto i superiori». La norma è ribadita nell’art. 25 del Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con il DPR n. 545 del 1986. Questa norma è una chiara esecuzione dell’art. 52/2c della Costituzione, che stabilisce che «L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica».
Ora, conoscendo tutto quanto qui riportato in sintesi, che oralmente è utilizzabile per informare e diffidare chiunque avanzi pretese e voglia imporre l’uso delle mascherine, in caso di verbalizzazione da parte delle FdO o simili, senza dare in escandescenze che potrebbero portare a
un TSO (che tuttavia deve essere esclusivamente richiesto da un medico, in seguito a visita approfondita, con referto presentato al Sindaco che deve firmare l’autorizzazione a procedere), si consiglia di portarsi appresso un prestampato del “Documento di sintesi” e di fare inserire la:
“Dichiarazione da fare mettere a verbale” che è già impostata.
Il verbale sarà poi firmato dal multato e dal Pubblico Ufficiale. Non so in quanti firmeranno un foglio per cui rischiano una denuncia e una causa civile per il risarcimento dei danni, che è automatica quando si violano i diritti costituzionali e le leggi penali e civili!
Sperando d’essere stato chiaro ed esaustivo, è palese che quanto qui espresso deve essere verificato da ognuno, o fatto verificare da competenti in materia, assumendosi così la responsabilità delle proprie azioni e scelte.
Documento di sintesi da portare con sé ed eventualmente da distribuire
https://freedom.extrapedia.org/_media/db/docs/documento_di_sintesi.pdf
Dichiarazione da fare mettere a verbale già compilata
https://freedom.extrapedia.org/_media/db/docs/dichiarazione_a_verbale.pdf
Roberto Morini